ANTONIO NOGUEIRA

Da un quaderno ritrovato presso gli eredi di Orphelina Queiroz, fidanzata di Fernando Pessoa.

Lisbona, 21 gennaio 1934.

Io sono Antonio Nogueira, Fernando, e abito da sempre il tuo nome:Fernando Antonio Nogueira Pessoa. Eccomi racchiuso letteralmente nel tuo nome. Non so perché ma mi hai tenuto ben distante da tutti gli altri eteronimi, da Ricardo Reis a Bernardo Soares, da Alvaro de Campos a Alberto Caeiro. Io ero diverso, per te. Da quasi 32 anni esisto (più giovane di te di almeno vent’anni): ho fatto studi di medicina, mi sono specializzato come psichiatra in dissociazioni di personalità. Appena dormi, ne approfitto e scrivo. Ma tu, del quaderno dove traccio i miei appunti, non sai quasi niente. Il segno della matita è appena visibile. So che non mi rileggi. Non mi rileggi mai.

Fernando, io parlo sempre e solo con te. Da quando sono nato. Tu ricordi le lezioni del professor Guaranos sui processi della mente? Come le ascoltavo io le ascoltavi tu (ma di me non parlavi a nessuno, talvolta a Orphelina, mai a te stesso). Guaranos parlava della mente come di una spugna che assorbe sia l’io che il mondo e li mescola nel suo tessuto poroso. Sembra una verità semplice ma lo è meno di quanto tu possa immaginare. Diceva che il confine fra io e mondo è sempre dentro l’io, ma non diceva in quale punto. Perché era e sarà sempre impossibile definire un luogo preciso.

Singolare, il mio destino, non trovi? Sono uno psichiatra nascosto nel corpo di un uomo che la società giudicherà pazzo. Ma forse proprio per questo ti sono vicinissimo. Per testimoniare che tu non lo sei, pazzo. Che hai gestito tante vite parallele perché le hai trovate infinitamente più interessanti della tua, così misera e scialba. Sei un genio segreto, Fernando. Se non fossi così segreto, chi si ricorderebbe di te? Saresti solo un impiegato originale e bizzarro, timido e impacciato, sulla soglia del disastro mentale. Ma io sono deluso. Mentre Soares può scrivere i suoi saggi e Caeiro le sue poesie, io cosa faccio? Resto dentro di te per giudicare te? Per essere io la tua rotta? Per impedirti di perdere definitivamente la ragione? Io: il tuo custode interno. Ma anche il tuo prigioniero. Gli altri eteronimi hanno un nome, una biografia, un loro destino, sognano e immaginario. Io, invece, sono un uomo che ha studiato la mente ma che non può curare nessuno essendo dentro di te, mai ricordato da te. Come faccio a lasciare il tuo corpo e il tuo nome? Ti rendi conto che, se è vero che hai costruito il teatro delle tue ombre per salvarti la vita, io, la tua prima ombra, la più sconosciuta, sono condannato a una infelicità senza rimedio? Uno psichiatra incapsulato nel corpo di un matto può anche smaniare teorie ma gli viene tolta l’unica facoltà: guarire chi soffre, uscire da sé per curare gli altri, vivere autonomo, libero. E io posso farlo? Posso davvero? Forse solo di notte, quando ti addormenti. Forse solo a notte alta, approfittando del tuo sonno pesante, potrei vagare per le strade della Lisbona vecchia invocando uno dei tanti afflitti da saudade per potergli parlare e alleviare così la sua tristezza? Che amaro destino, mio caro, unico amico, mio caro Fernando Antonio Nogueira Pessoa. Almeno, quando morrai, affidami ad altre mani. Non mettermi nel baule con i tuoi eteronimi, con gli altri tuoi intellettuali capricci di solitario. Io non sono loro. Tu lo capisci? Io non sono loro. Io sono davvero te.

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