IL LIBRO DEL TU, 4. Massimo Barbaro

Nicolas de Staël, Les bateaux

IV

1.

Devastazione totale, ma solo delle coscienze. La natura più o meno imperterrita. Tu chiediti se confidare.

La moralità delle piante.

Non tanto la loro Nazione, ma un impero: gentile.

L’immane incapacità di gentilezza dell’uomo.

Sei capace di restare immobile? Immagina allora come deve essere starci.

Essere senza dirlo.

Per carità, la stessa cattiveria di voler essere. L’edera… Solo più gentile, più silenziosa. Vedi? Più verde.

Sempreverde o caduco?

Sbagli prospettiva, sulla solitudine. Il bosco è una folla.

Dissipazione, sì. Ma impazziresti? Qualcosa mi dice di no. In fondo, sei gentile anche tu. Proprio in fondo, però.

2.

Trovati un parapetto qualsiasi, un punto di vedetta, per forza di cose elevato; fatti forza per dimenticarli, tutti quelli della tua vita: le torri di guardia, le ringhiere, i moli, le dighe foranee, i ponti, i finestrini… i finestrini dei treni… Un muretto qualunque. Non hai più niente da aspettare, niente da aspettarti. Ma che fai? Rimpiangi il potere sconvolgente dell’incertezza, l’acre, acuta prospettiva che la mancanza di prospettive ti apriva? Ti concedo solo un attimo, oltre il quale questo sentimento sarebbe rivoltante. Buttalo giù, nel vuoto; da quell’altezza, giù di sotto.

Guarda. Smetti di guardare lontano. Ora puoi farlo. So che non puoi rinnegare poetiche, storie, psiche, inclinazioni e torsioni, storture dello sguardo e della lontananza. Né che tutto, ancora, sempre, e dopo tanto tempo, continui a non essere altro che sguardo.

Non ti aspetti più niente. Non aspetti niente.

Però, ecco Il bello delle alture, la visione si apre. Proprio quando assapori l’aurora di qualche certezza, ecco che la Storia si incarica di sospenderla, di ribaltare la prospettiva, con te come perno.

Senti la vertigine? Lo so che non ne soffri. Fai spallucce. I piani si spostino pure, ma se tutto ruota su te stesso – conceditelo, per una volta: e su chi, sennò? – tu continui a guardare tutto che cambia, tutto che si capovolge, sempre con lo stesso sguardo.

C’è qualcosa di nuovo: non c’è altro che te; e ci resti, ma ora questo riguarda anche te. Sei entrato nella storia.

Vai oltre tutto questo. Anzi, ignoralo. Tutto questo – sembra niente, ma c’è voluta una vita – è avvenuto in un attimo.

Ti sei fermato a gettare solo un’occhiata. So quanto è potente, quello sguardo…

3.

Sempre gli stessi gesti. Li fai, li vedi.

Il silenzio amplifica.

Fai qualcosa, di solito piccole cose, e già non le vedi più. Pensi a quando lo farai ancora, a quando non le farai più. Ora le disprezzi, ma potresti rimpiangerle.

Sei sempre sotto la minaccia dei gesti. I gesti ti ricattano.

Non credere che la musica riempia il vuoto.

Il vuoto, il silenzio, i gesti, vi chincagliano dentro.

La musica fluidifica. Toglie attriti, lubrifica.

Fai ogni cosa come se fosse scritta su uno spartito.

Non sai leggere, lo so. Ma tu sai ascoltare.

4.

Come un ricordo. Ti sovviene. È vero, te ne sei allontanato. O è quell’idea che si è allontanata da te? Impossibile – ti sembra di non crederci – come qualcosa di cui eri completamente intriso ti abbia del tutto abbandonato. Ma non eri tu a essere padrone delle tue idee? Sei stato tu, invece, ad allontanarti? Hai smesso di pensarci, così, semplicemente, spontaneamente, non appena la tua vita, non senza prendersi beffe di te, si è messa su un binario? Su un binario qualsiasi?

(Non qualsiasi. Lo sai bene. Da frequentatore di piattaforme e cavalcavia, da attento lettore di sigle di vagoni merci…).

E insomma ti prende, così come se n’è andata, da sé, da sé ritorna (finzione giuridica), o se non altro, così come in un attimo è sparita, così in un attimo riappare.

Vuol dire che non è mai andata via? Che c’è sempre stata? Non sforzarti, non fai nessuna fatica – vedi? – a disinteressartene. Lo so, non rinneghi niente. E ti fa onore, neanche un’ombra di spavento.

Eccola lì.

Conoscente che non disconosci e che non vuoi più salutare (non le cose fatte, ma gli amici, quelli sì, si rinnegano).

Desiderio, bisogno, inclinazione naturale, propensione, come qualcosa a cui non opponi resistenza.

Perché, è innegabile, è stata tanta parte di te.

Quell’idea.

Uscire dal quotidiano. No: uscire dal tempo.

Uscire dal tempo, uscire dall’essere.

È stata. Lo è ancora?

La stanchezza, nonostante l’ora, ti abbandona. Tipico delle lucidità maledette dell’insonnia. Ma tu dormi sempre come un bambino.

E il silenzio della notte, si fa strada tra segnali sonori di vita, tra la desolazione che non è mai troppa.

Come una stanchezza gentile. Senti? Come è diverso, ora… Come tutto resta, tuttavia, pur nell’inaudito, sempre familiare…

Come se. Uscire dall’essere e dal tempo. Come fosse entrare…

5.

Chiudi gli occhi con i polpastrelli delle dita, premute. Contempla le immagini prodotte dai tessuti, dai vasi sanguigni che pulsano e tracciano grafi, dalla luce che filtra, sulle retine. Vortici , galassie.

Non è affascinante che lo scarico di un lavandino segua le stesse leggi del moto delle galassie?

Un po’ meno affascinante, invece, che le galassie seguano le stesse regole di uno scarico di lavandino…

Togliti le dita dagli occhi.

6.

Sempre. Prima o poi si arriva alle galassie.

La giusta prospettiva.

La giusta distanza.

Ah, se nello spazio si potesse respirare!

Che solo qui, sul pianeta, si possa respirare… Non senti un po’ di claustrofobia?

Un mondo sconfinato… Che te ne fai di tutta questa… libertà?

Riprendi i vecchi esercizi. Geografia, Economia, Geopolitica: dove andare a vivere?

La tua premessa era: fare tutto con poco.

Il poco che eri.

Prova ora a pensare: e col poco che ti resta?

Andavi in vacanza in paesi in cui si parlavano le lingue che conosci, leggevi giornali, guardavi gli annunci economici, ti fermavi a guardare le vetrine delle agenzie immobiliari. Un vero cittadino del mondo, non c’è che dire, altro che vacanza.

L’emigrante nel sangue. Che poi, altro non è che biologia.

Scegliti un posto in cui (tu possa) vivere. Vivere, você entende? βίος

E invece no: galassie, κόσμος

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