PER “A SCIAME”. Maria Grazia Insinga

Ventidue frammenti

per M.G.I.

Si può camminare attraverso un poema cogliendone in prima battuta il flusso delle parole come si intuisce una matematica segreta?

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La musica di un altro pianeta è la musica di questo pianeta.

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A sciame: come se tutte le ombre volassero via lasciando parole.

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Iniziare i versi e non sapere per quale ipnosi vanno e in quale miraggio ti guideranno.

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Sequenze libere, come in Aura di Maderna. Ma sempre, sotto ogni nota, lo scrigno di una melodia struggente.

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Mancare il senso inventa la struttura stessa. Il rigore al centro della lacuna.

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Il lettore, errante, sa e non sa: “è esserci com’era il mondo / quando era

mondo”.

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Quando, leggendo, rinasci a ogni verso, “non devi sapere nulla / per rimanere in vita”.

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Materia si mescola a materia, cosmo ad amatriciana, giglio a barattoli. Come un frammento sia e debba essere arcata di ponte.

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è fuori dalla lingua / è fuori dalla madre / la sua testa un’estasi”. Il mondo manca nella tragica felicità di mancare, dissolto in sciame.

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“un rogo tascabile”, “la puzza del crollo prima del crollo”. Il poeta anticipa la scomparsa e la possiede.

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Perché non si smette di devastare il mondo, le lingue: “andare a sopravvivere su un altro / pianeta natale e devastarlo / e sciamare via e via così”.

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Chi si ferma nel centro della sabbia? Chi legge fra occhio e cervello? Chi attende la lingua?

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Raramente, un libro è maschera così ferina e delicata, dove il bianco della luce sicula è il nero del gorgo che la nutre.

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un lungomai lunghissimo oltremondo / un terreo moto uno sciame un sisma”: il poeta sentirà il crollo prima che le parole si dischiudano nel boato.

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Sanguinato sfigurato tagliente mondo: la parola può renderlo un liscio diamante ma non ne attenua i prismi.

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Se Dinu Lipatti, nel suo ultimo concerto di Besançon, trasforma i Valzer di Chopin in cristalli felici, non muta il mondo ma lo prepara a morire in una musica altra.

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*e la storia che apre a capo / con un capo mozzato” ci presenta una parete inconsolata, dove le lacrime si sono già rapprese in parole.

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Ogni scrittura compone una sua musicale idea di deserto. Ma esiste un deserto meno remoto di questa distesa composta di dune fredde e bianche, che non emanano calore. Esiste un deserto in perpetuo movimento, composto non da pulviscoli di sabbia che il vento trascina ma da innumerevoli gocce d’acqua: è, naturalmente, quello che si chiamava mare.

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Un io volatile e trasversale si trasfonde da prosa a poesia, strofa per strofa intona i suoi temi ossessivi.

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“ai piedi del rogo accendo il pescheto / non un diluvio intorno ma la purpurea / non è che un ronzio digitale perenne / perpetua tigre fulva e per sempre”. La Tigre di Blake non si è mai nascosta, né ha mai perso il colore del suo manto. Anche nel silenzio occupa ogni pensiero, come la musica mai scritta, nel finale del Gordon Pym di Edard Allan Poe, che dovrebbe, di quella grande apparizione bianca, restituirci un canto interminabile, un ostinato alla Ligeti.

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e conta fino a due e ancora dice / non conto niente sono qui / fuori in forma di niente”. Ma è proprio la forma a preparare la vertigine del libro. (M.E.)

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ANTOLOGIA

La stanza dell’acqua non ha più

acqua è perfetta in una stanza

perfetta ma il gradiente cosmico

e la costante struttura fine

non immutabile valore fluttuante

ecco l’imperfezione: la poiana che

fa il verso allo spirito santo mi fa

il verso mentre sprofondo verso

l’alto barcollo e manco il senso

non ho il minimo buon senso

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teoria del grande uno:

l’albero ha i suoi numeri uno

a mille metri sul livello del mondo

la chiara foglia centifolia

tutti gli autunni ed ogni autunno

il suo nome rimbalza a fucilate

ora sotto l’albero è ancora altitudine

è resuscitare la voce alla radice e per

essere luogo farsi luogo per essere

mezza viva non farsi viva mai più

tanto l’aldilà lo vedi? è nell’aldiqua

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ciò che è fuori lo è senza revoca

né tra una vocazione e dice

l’altra mi trascende scende

nella gola di traverso flauto e

fende la forma del verso minima

e conta fino a due e ancora dice

non conto niente sono qui

fuori in forma di niente

*

Questa non ricorda di essere al mondo

e scordato è tutto il testo e del resto

è solo chi scorda se stesso ed è

un vuotoverso intero e non ha controllo

e se n’è fatta una ragione o due?

E trascrive musica e parole

da altra musica dall’altro mondo

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Maria Grazia Insinga nasce a Milazzo nel 1970. Docente di pianoforte, inventa il premio di poesia per i giovani “La Balena di ghiaccio”. Fa parte del Comitato di lettura di Anterem e della giuria del Premio Montano. È tradotta in romeno, francese, inglese, spagnolo, russo.Tra le sue pubblicazioni Persica (Anterem 2015), Ophrys (ibidem, 2017), Etcetera (Forina, 2017), La fanciulla tartaruga (iibidem, 2018), Tirrenide (Anterem 2020).

https://www.facebook.com/anteremeditrice/

Maria Grazia Insinga

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