(traduzione di Alfonso Guida)

Morte, il tuo colpo giunse
quando più ebbi fiducia nella gioia
di essere- colpisci, colpisci ancora,
ramo secco e diviso
dalla fresca radice dell’eterno.
Sul ramo del tempo foglie crescevano
luminosamente, piene di linfa,
di rugiada argento. Gli uccelli, a notte,
sotto il suo riparo, si radunavano
e ogni giorno, intorno ai suoi fiori, l’ape
selvatica volava.
Il dolore è passato e ha colto il fiore
d’oro, la colpa ha spogliato il fogliame
del suo orgoglio, ma nel cuore benevolo
del suo creatore fluì
per sempre la marea
ristoratrice della vita. Poco
piansi per la gioia spezzata, il nido
vuoto e il canto silenzioso. Era lì
la speranza col suo sorriso triste,
sussurrava: “non indugerà a lungo
l’inverno”. Ed ecco, una benedizione
dieci volte più alta e la primavera
tornò zampilli ricchi di bellezza,
vento e pioggia, caldo acceso, carezze,
offrì la gloria in quel secondo maggio.
Si sollevò- nessun dolore avrebbe
potuto spazzarlo, il peccato pieno
di sgomento per la distanza dal suo
splendore. La vita, la stessa vita
dell’amore, custodiva il potere
di preservarlo da ogni male e da ogni
ferita tranne la tua.
Morte crudele! Le giovani foglie
cadono, perdono vigore, l’aria
dolce della sera ancora ristora-
no, il sole del mattino si fa beffe
del mio male- il tempo, per me, non deve
più sbocciare. Abbàttilo, che altri rami
possano fiorire ancora dov’era
quell’alberello morto, così almeno
nutrirà, col suo cadavere muffo,
quello da cui è nata- l’eternità.
(1843)


