
Se non sopravviverai ai nostri giorni dolenti
io, già vecchio, imprigionato dalle geometrie del mondo,
ti invito a cedere ai rigori dell’ignoto inverno
per essere, fra le mille nature che avresti voluto,
la tua, senza disastro, che prodigiosa, disadorna
e fulgida nascerà in altre carni e altre doti,
perché ogni frammento di pelle, ogni scheggia d’osso,
ogni goccia d’acqua che regge la tua sostanza ora,
si trasfonda in altri vasi e là risuoni, inspiegabile.
Tu spera, ragazzo, in quelle vibrazioni migliori
e non patirai più la sorda eredità del mondo –
l’anonimo ronzio delle api nei tronchi putrefatti.
Viventi rimarremo, per legge dei nostri cuori,
contro la fissità delle pietre non arse dal fuoco.
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*Questo apocrifo shakespeariano è tratto dal mio volume Vite dettate (Liber, 1994). Nasceva, allora, dal desiderio di ricordare Giovanni Maiello, mio paziente degli anni ottanta, tossicodipendente, magrissimo, i capelli ricciuti, che morì a 27 anni di Aids senza riconoscere più nessuno ma con cui avevamo parlato spesso di scrittura, soprattutto di Shakespeare, che amava più di ogni altro autore. Oggi, a oltre trent’anni di distanza dalla sua fine terrena, mi piace ricordarlo direttamente, come allora lo ricordai obliquamente sotto la maschera del suo amato William.
