
Languo e Lingua
C’è che a volte il linguaggio
stanco di sé
chiede soccorso a un altro alfabeto
parla a labbra nascoste
sfogliando le sue pieghe
pagina dopo pagina
come un libro da leggere
ma ogni volta la trama è diversa
quando sta per svelarsi
non c’è fine al racconto
per questo la bibliotecaria
t’invita a una lettura profonda
decriptare l’idioma non è da tutti
prova con la devozione si aprirà
e la nuova lingua s’addentra in un dosso fatato
circuisce lambisce risucchia
inventa uno stile su fremiti contratti
una lingua rabdomante che scova i tuoi fluidi
a piccoli battiti
diluite pressioni
variabili ricami
si perde in un delta fluviale
che più non trattiene il fiotto grandioso
di attriti ripetuti allo spasimo
rischia l’immortalità la punta della lingua
che s’attanaglia a un bocciolo rovente e non lo lascia più
è la bocca della verità che risale controcorrente
crea mulinelli voraci inghiotte una rosea clorofilla
estrae il succo di elegie secolari
perpetua l’anima nel corpo di spugna imbevuto
ed è naufragio in linfe di marosi trasferiti all’interno
perché languo svuotato di sinonimi e contrari
e imbuco il messaggio di me trasmigrato
dove mi accogli a ferita verticale.
(31-8-2020)
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Mantra dell’origine amorosa
L’amore devozionale
è un vangelo corporale
l’ostia sciolta in una bocca prensile
l’adepto di una setta perseguitata
nudo l’officiante si traveste da clown crepuscolare
entra nel tabernacolo con la santa libido impregnata di rispetto
ed è una linfa di resurrezione a scendergli in gola
benedetto sia il pube e i suoi affluenti giù per l’inguine sacro
sacro Gange dei rivoli dispersi a depurare l’anima
benedetto il lenzuolo dei nostri sudori l’impronta
in odore di santità e altre fragranze
idioma olfattivo di un esperanto sconosciuto
decifrato nella grotta prenatale
un divaricarsi lento a schiudere in fondo il dono
dove la vita mortale si trasforma in un suggere perenne
per non morire più
un elisir di lunghe dita in ascesi e discesa
null’altro che un trasferimento di codici
l’eco percepita dell’origine selvatica
in contrasto con i crimini dottrinali
l’abolizione del pudore
l’ebollizione dei sensi
la caduta del pensiero civilizzato
la matematica che s’avvita su se stessa
abiura i suoi calcoli
chiede asilo politico
mentre l’officiante orgasmico
riceve l’estrema minzione
e passa il testimone all’opera d’arte
per immortalare il viatico pagano
in grata rinascita nel ventre ritrovato.
(Sarzana, 23-9-2020 )
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Lancuore
Com’è triste l’amore
sempre
anche quando è amore felice
porta in sé il senso della fine
perché fin dall’inizio finisce
dietro il radioso sorriso dell’incontro
si nasconde il pianto del futuro distacco
attende solo il momento opportuno
per sostituire le lacrime di gioia
tra corpi congiunti
con le lacrime di dolore
alla cruda resezione di un affilato addio.
Com’è triste l’amore
quando ci si ama ancora
in una selva di fonemi appena nati
ci si perde a inventare linguaggi
nuove significanze alberate
un lessico sinfonico destinato
ad arricciarsi
aggrovigliandosi su se stesso
come un serpente ferito
la muta delle parole scortica
il disegno originario
la pelle vola lontano
resta il veleno a terra
tra bocche cucite nel silenzio.
Com’è triste l’amore
quando il palpito vitale
rallenta la sua corsa
si cade poco prima dell’immortalità
entrambi sconfitti
la chiave viene restituita
i sigilli alla porta rimossi
le impronte digitali scomparse
l’istruttoria chiusa
siamo liberi
su sentieri autunnali.
Com’è triste
l’amore incompiuto
appena sfiorato
annusato a distanza
presagito all’ultimo volo
immaginato e tachicardico
come un eroe emotivo
in un tempo scaduto
non gli si concede
il rimpatrio del cuore
ma un esilio perenne
pensando
a com’era felice l’amore triste.
(Sarzana, 7-10-2020)
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C’è qualcuno là fuori?
Vorrei cadere dall’alto di un verso maestoso
e farmi male davanti a tutti
con la testa spaccata e le vertebre incrinate
il sangue che fluisce
la paura di morire
e gli eroismi in poesia che non servono più a niente
affinché i poeti sappiano che siamo di carne e ossa
che abbiamo mal di pancia e cataratte
orecchie da siringare e culi brucianti
l’essere sublime in odore di santità
è un poveretto che reclama un cielo abitato
un oceano capovolto senza pani né pesci
l’essere sublime non confessa le sue miserie
al calar della notte stura le sue abiezioni
poi scrive con gli occhi rivolti alla trascendenza
giurando fedeltà alla santa croce di un prelato
i poeti non leggono i libri dei poeti
sbuffano ridacchiano li buttano
o li seppelliscono vivi nella loro sindone di cellophane
ligi alla cerimonia funebre del silenzio
pop star in un’arena solitaria si guardano l’ombelico
perché alla poesia basta un lettore in tutto il mondo
dicono
eppure li sognano ad occhi aperti quei clamori
strapparsi le mutande e gettarle alle ragazze
non le avranno né da vivi né da morti
tedofori della purezza balsamica depongono
sull’altare del verso virginale un poema di redenzione
e vanno in vacanza in un convento meditativo
così castigato da non esserci neanche la luce interiore
se solo riciclassero dalle discariche dell’impudicizia
le deliziose nefandezze che rigettano come materia impoetica
scriverebbero opere immortali
perché secondo un antico detto taoista
nel meno è il più.
(6-8-2020)


