Ultime parole di Giacomo Borlone (1485).

Dopo tre anni passati ad affrescare il muro posteriore dell’Oratorio dei Disciplini di Clusone, oggi, 7 dicembre 1485, termino la mia danza macabra e, prima che il tempo la cancelli per sempre dal muro, prima che uno spietato o pietoso destino rimuova questa scena dalla parete che sto affrescando e tolga il marchio della peste che è stata, io vi descrivo quanto colorai e disegnai: uno scheletro, la corona regale sul cranio, poggia i piedi sul sepolcro di un pontefice; ai suoi lati, armati di archibugio, altri due scheletri colpiscono all’impazzata folle di cavalieri, dogi, guerrieri, che offrono inutilmente ori, monete e corone per salvarsi la vita; uno dei cartigli tenuti in mano dal re-scheletro dice “Solo voi ve voglio, non vostra riccheza” – e nell’altro è scritto – “Ogni omo more, e questo mondo lasso, che ofende a Dio, amaramente passo”. Accanto agli scheletri, corpi lividi e gonfi che stramazzano al suolo, dove restano esanimi. I volti si scollano dai corpi, la pelle si stacca dalle ossa. Come i colori del mio affresco, in un futuro non lontano, coleranno dai muri. Chi crede al paradiso non osservi la mia scena: chi smette di crederci, con la gaiezza della disperazione gusti l’indimenticabile sapore della vita.

Ma adesso è ora di smettere. Fuori, cadono come mosche. Non ho il tempo di contare il numero. La mano mi duole, con questo bubbone alla radice del polso, e dipingere mi è impossibile…
In fede, Giacomo Borlone, pittore

