di Lucetta Frisa

Sette confessioni
Mi unisco al Dolore dolendomi insieme
a vecchi infermi ingannati e nudi
nel regno universale degli esclusi:
il dolore sta nascosto in un sorriso
gentile e in paroline gentilissime
in catena con l’affabilità
dell’alfabeto affabile. Dolermi
è il mio unico impegno quotidiano
-non oro né labòro- mi guadagno
il basso onore degli altari spogli
dei perdenti e morenti con gli accenti
balordi dolenti privi d’avventura.
E’ l’insensata sedativa cura
che culla pianti inermi dentro i fogli.
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Balorda rabbia e balorda mitezza
balorda ingenuità e cedevolezza
per cosa e contro chi se la via Lattea
non scorre sui miei occhi capovolti
di notte sotto la sua perlata scia.
Qui l’ombra di una formica e il libro
ottuso con le sue righe imbelli
che non vanno scivolando sulla mia
testa come via aperta ma sulla scrivania
in bilico e io pencolo ai muri m’aggrappo
ai buchi del soffitto alla lanugine
delle tarme, l’aria strappo e la pelle
e le pupille e alla voce sbucciata
che nulla dice nulla disse e dirà.
**
Ansia angoscia perdita disincanto
e le figure oscure del dolore
non li cancella il fresco vento serale
non torna più bambinella al mare
o nel grembo di sua madre che diceva
ricordati di non invecchiare e recitare
la commedia fino alla fine e ridere
anche tra le lacrime se riderai
sempre come un pagliaccio imparerai
che al mondo bisogna fingere e se
nessuno applaude e non ti darà nulla
applàuditi da sola e a testa alta
sconfitta esci di scena con orgoglio.
Tutto l’orgoglio è rimasto a sua madre.
**
Continua a scrivere e non sa perché
Non ha nulla da ricordare nulla
di lei che abbia avuto un senso
quando la vita è un nastro bianco netto
come il corpo chiuso nel cassetto
dove si pone il revolver inesploso
in attesa che spari per difesa
e ci sono ombre di notte in giardino
qualche fruscio ma è il cane del vicino
e la luna che si affaccia già sbiadita
muta non parla più di quella vita
sognata in previsione della vita
e di grandi avventure del coraggio
in primavera quando arriva maggio.
**
Il corpo è nel cassetto e l’anima
si nasconde sotto il tappeto vecchio
come la polvere e il sentimento
è zucchero nel tè straccio nel secchio.
Voleva perdere la sua identità
volando in alto sopra le città
senza più porsi quelle domande
chi sei cosa vuoi cosa pensi e fai
oggi domani mai.
Un tempo le donne colmavano il tempo
facendo figli e faccende tacendo
su tutto il resto la vita e la morte
le mescolavano insieme alle torte.
Vive assai meglio chi sfama la sorte.
**
Voleva perdere la sua identità
e non sa ancora se ce l’ha davvero
non vuole cambiare la figura
l’infanzia, il desiderio, il pensiero
soltanto non vuole più essere lei
non essere più un’umana creatura
ma appartenere solo all’universo
sotto altra forma o colore e leggera
spalancarsi e ridere. Nelle fiabe
gli animali diventano umani
massimo premio degli dèi, ma lei
chiedeva loro un’opposta magia:
mutarsi voleva in animale
divino di compagnia.
**
Figli non ebbe e sempre fece senza
un marito e una casa non la volle
fu di una strana razza forse folle
dell’oltremondo dell’inappartenenza.
Donna vera non era femmina con tette
e culo rapinosi e dei maschietti
aveva soggezione lei credeva
di non piacere come non piaceva
a suo padre che non l’accarezzò
mai e raramente le si rivolgeva
per dirle sempre no. E allora constatò
di appartenere solo all’universo
allargato senza sì e senza no
solo scrivendo forse qualche verso.
(2020)