
FUORI ORARIO
Forse pensava a noi Claudio Baglioni
quando scriveva il suo Piccolo Grande
Amore. Pensava ai tuoi vent’anni
pieni di musica sulla salita
Sant’ Agostino, alle tue tre di notte
col mondo in testa tutto da rifare
azzurro e sveglio nel buio dei vicoli
ai miei nove anni – una pagina non scritta,
il mondo avanti a me tutto da fare.
Avevi proprio “il doppio dei miei anni”
non molto dopo, mille novecento
settantaquattro – non lo sapevamo
che il tempo qualche volta sa aspettare
due strani adolescenti fuori orario.
L’ULTIMA VOLTA
Se sarà stata poi l’ultima volta
lo sapremo soltanto a cose fatte
un evento di cronaca o un tramonto
che lascia il cielo all’improvviso sporco
se per l’ultima volta io specchiavo
gli occhi nella tua acqua senza ombre
e l’ultimo metrò senza annunciarsi
mi deponeva su un binario scuro
l’ultima volta che non sapevamo
se la bellezza in noi dalle radici
eri tu oppure io ma non contava
e quando è stata quell’ultima volta
che vivere sembrava naturale
l’ultima volta, amore, che mi eri.
SONETTO DI ERIS
E ogni volta che non ti comprendo
è la parola che manca, non noi
quella parola che non basta al cuore
che pesa più del pensiero e si muove
lenta più della vita. E ogni volta
che non sono felice al tempo giusto
non è la gioia che manca, è il bicchiere
troppo piccolo per la meraviglia
che da te a me trabocca come un dono
temuto e provvisorio. Siamo frecce
sbagliate di un bersaglio irraggiungibile
qualcuno disse “un legno storto”. Prendo
l’asta che cade e sempre ricomincio
ad amare il traguardo all’orizzonte.
L’ONDA E LO SCOGLIO
A volte penso che cos’è un ricordo
– appena visto tu lo puoi comprare
oppure ti sorprende dentro un pacco
come un moderno miracolo. O l’ombra
che ti attraversa mentre passa un treno
poi si scioglie nel sogno effervescente
che l’alba porta via con la tua sete.
Forse il ricordo è la forma del niente:
quel niente che ti lasciano le cose
quando vogliono stare e poi vanno
via, tristi come vecchi. È l’incontro
fra lo scoglio e quell’onda di ieri –
soltanto ciò che più non è rimane.
A MIO PADRE
Guardando in alto ho capito per caso
che cos’è il volo. Non somiglia a niente
che sia un istante, una nuvola azzurra,
un velo, un lieve brivido sospeso
sull’ala del ricordo o sull’eterea
strada dell’infinito, a riscattare il peso
lordo della materia che s’incatena
alle leggi del mondo. Quello stormo
trascinato dal sangue in simmetria
militare verso un altro po’ di sole
mi racconta che non esiste il cielo
che il sogno è nelle scarpe e nelle mani
adesso e qui, nell’esatto destino
scritto nell’ombra di un corpo che cade.


Grazie per la gentile ospitalità e per la bellissima foto ligure! Alessandra
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