Oscuro, precipitosa terra*
— Para Sandra —
Oscuro, precipitosa terra—
dite pure ch’è un culmine,
ditelo custode e sovrano
il piú carezzevole adesso,
se incompiuto morire
ancora una volta,
facendo ritorno
per il sollievo del pianto
il tumulto d’una speranza
l’antico nascondiglio
avanti ad azzardata primavera,
poi il noto e trascurato nulla.
**
Fine. Parola breve
piú di sé stessa,
pensato brivido,
ma si diletta nel dirsi
si dà un contegno
come chiunque
ultimamente precipiti.
Senza contare i passi,
si cerchino germogli
si vada dove rovi
contendono con rovi,
si vada nel chiunque—
sí, nel mormorante
tiepido qualunque.
**
Profane le mani, se
smuovono pretendono,
brave a lasciar il segno
incarnare propositi,
senza chieder sentenza
ai conseguenti.
Ritmo delle mani
in battere e levare
in consegnati cenni,
mentre salva nel folto
una luce—quando si dice
candore, o sopravvento
di ritornati sogni,
devozione alla materia
infine.
**
Contente le credevo,
o contentate,
le voci precedenti—
invece dannoso brusío.
Cerca di sviarli
non tenerli svegli
quei che persero figura
e senza utilità
ancora ti pretendono,
quasi nascosti flutti
sotto una terra
che ricopre anche la neve.
Luna sopra monte
nebbia sotto la luna.
**
Incorporeo abbraccio,
se non ricordi
miscredenti lucciole
tra ’l buio, e il presente
non è da ricordare.
A meno che
un rimpatriato sogno
o consegnato affetto,
tenore pronto a morire
per un inguaribile acuto
che superi destrezza
superi la voce
tra marosi si confonda
ove piano piano
dispera tutte cose
l’intentata
loro somiglianza.
**
Somiglianza
se prepara una discordia,
luce piú tardi opaca
su vie che diramano
in pietraie senz’orme
senza fiato, e queste penne
che stridono alle carte
per dire d’inutili vessilli
d’insegne che inerti
di grandi intendimenti.
Non sapremo quali sogni
avessero diritto
a consumarsi giustamente,
invece che schianto súbito
agli scogli—era una barca
da poco, ma sapeva vantarsi
della brezza.
**
Brezza non è vento,
bensí d’un vento
foglia tremula
gentilezza e sospiro.
Vento, piú sconcertata
parola, adatta
a intitolare sventure
annuvolare ombre
togliere la voce, usurpare
il mormorante felice
con un moto
troppo grande per lui
e invaghire la distanza,
seppure non chiami mai
come un amante.
*I testi sono tratti da Penombra della lingua, Edizioni La Camera Verde, Roma, 2012.

