
Annibale Carracci
**
BERCEUSE
(aragonese)
Parola, presenza rimasta. Amore
nuziale né promesso né giurato,
casuale e libero. O parola schiva,
che mi ha amato in silenzio, senza perdermi,
tenendomi d’occhio, muta e fedele
fino al mio accorgimento. Non esiste
la parola creata quando scrivo.
Sono io la voce che la parola crea.
Si è insediata all’inizio del distacco
dall’informe, ha assunto la vastità
della vita, ci siamo coniugati
senza volerlo, come un’ape sceglie,
nel campo, il fiore in cui entrerà, sposandolo.

**
LOESS
Le tue viscere assonnate, il diverbio,
quello che posso amare, senza tremito,
tramando un modo di ospitarmi e farmi
compagnia. Il cerchio ha chiuso le sue forze
di rotazione in una sottile linea
sradicata da una figura piana.
Non c’è tempo, nessun tempo argomenta
le mancanze e le manovre, il morire
di volta in volta aggrappati a un uncino
di ferro, uno squartamento, ricordo
Carracci, Rembrandt, Bacon, macchiaioli
del buio e del sangue nel punto esatto
del suo fluire, quando si fa tenebra
minerale, minuta corrente, alba.

**
ZERO DI RIPORTO
Sono in gabbia e mi congiuri, dolore.
Prigione sempre chiusa. Né ora d’aria
neppure dialogo e lavoro. Puro
stare stralunato e stantio. Estuario
difettoso del mio estro, come il sacro
perdurarmi attraverso il chiaro sonno
del bambino dal pensiero impietrito,
dal cappotto di feltro, verde scuro.
L’attimo è questo vedermi negato
dopo, nel dopo, avvenuto il delitto,
questo starmene, isola insondata,
col puro stupore che mi concede
l’onda appena increspata, l’inattesa
figura che domina il dormiveglia.

Chaïm Soutine,
