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Lettera apocrifa di Filippo Bentivegna, trovata sotterrata sotto una zolla del suo giardino di Sciacca.
Sciacca, 1958.
E lo so, lo so che sono matto, il matto scultore di Sciacca. Io, Filippo Bentivegna.
Maria? E chi è Maria? Di cosa parli? Ti ho fatto entrare nella mia casa, brutto scemo, e mi parli di un fantasma? Vergogna. Vergogna. Non so più niente di Maria. Non so più niente dell’America da anni e anni. Io sono Filippo de li testi, scultore. Il mio pensiero è le mie teste: l’ho conservato per il mondo, tutto dentro le teste. Non ho lasciato niente fuori. Voi uomini vivete nell’inferno. Io raccolgo nel mio paradiso le mie teste. Più di tremila. Intere piramidi. Montagne su montagne. Non ne regalo una. Le tengo come un tesoro. Sono un tipo avaro, pericoloso, dicono strano. Dopo quella botta in testa vivo solo nel mio giardino. Qui, con montagne di teste. La chiave dell’incanto ce l’ho io, è in cima alla cima della testa più alta. Pietre, al mio servizio. E mandorli, ulivi – tutti al mio servizio. Pietre tenere, dure. Intaglio e scolpisco. Chiamami Eccellenza. Chi sarebbe Maria? la mia donna d’America? Quella che stava col tipo che mi ha massacrato? So tutto, dell’America. Tutto. Ho dipinto tutti i suoi grattacieli, con tanti pesci sotto.
Vieni con me. Gli uomini respirano veloci: finiranno per perdersi. Le statue no. Se ne stanno ferme, come schiave. Io lo batterò, il tempo, quel porco. Rovina e corrompe: è ora di finirla. Sono nato quando scoccava mezzogiorno, morrò quando scoccherà mezzogiorno. Sole sulla testa. Sole sulle teste.

Non conosco che i volti che faccio. Devono essere qui. Teste da toccare. Ho altre vie di scampo? Il mondo scorre, sparisce. Io lo fermo qui, fra pietre, pietruzze, sassolini. Qui posso. Se avessi più forza non riempirei solo un giardino ma due, tre, mille giardini, una regione, una nazione, la terra, e pianeti, pianeti, e io che domino tutti, io l’Eccellenza delle mie Pietre… Lo sai cosa dicono di me?
-Ecco il signore delle caverne, il matto!
-Sindrome ciclotimica!
-Esaltazione maniacale!
-Sulle sue carte non c’è la parola «marinaio».
-Inabile, c’è scritto.
-Scemo.
-È indifferente al denaro.
-Non vende le sue teste neanche a peso d’oro.
Stupidi, stupidi uomini!

Le teste umane non sono solide. Le ossa si disfano, il cervello si corrompe. Si diventa deboli, scemi. Non sarà così per le mie. Loro sono salde, eterne. Le coloro, a volte. Un po’ di rosa, un po’ di blu. Belle, calme. Di legno e di pietra. Ho riempito tutto il giardino. Sono io il guardiano dell’eternità. Io sono immortale. Chiamami Dio. Ora la creazione è a posto. Cosa c’entra Maria? Un po’ d’ordine, accidenti! Tutti questi tipi disfatti dalla morte, cambiati, distrutti. Non si poteva andare avanti così. Ora eccole qua: teste vive, che non saranno mai polvere. Teste che un po’ dormono sempre. Occhi come cerchi. Semichiusi. Eccole nel sonno. Teste di pietra. Davanti e di dietro. Non c’è una faccia, non c’è un culo. L’uomo è uomo.
Ecco il mio tesoro. Altro che Maria!
Lo so cosa dicono di me:
-Scava cunicoli nel giardino.
-Scolpisce mostri.
-Dipinge i capelli dei mostri rosa o azzurro violento.
-Non fa altro dal 1919.
-Noce o betulla? No, ama l’ulivo.
-Non si appoggia al bastone. Lo usa come scettro, il re di Sciacca.
-Ci chiama «dignitari di Sua Eccellenza».
-Parla storpiando gli accenti, con frasi incomprensibili.
-A cena pretende dolci strani, con fichi secchi a forma di testa.

E certo! Io mangio pietre. Ieri mattina, martedì grasso, tutta Sciacca mi ha visto. Immobile sul carrozzone che traversava il paese, in compagnia della mia maschera di cartapesta, disegnata nell’atto di scolpire teste. Ridevo come uno scemo guardando il mio doppio di cartone. La folla mi applaudiva. Era il desiderio dei miei servi: che apparissi, in pieno carnevale, come il folle scultore di Sciacca. Esibirmi nel carnevale come quegli idioti che si mettono teste da mangiafuoco o da fata turchina. Hanno riso di gusto, gli stupidi.
Il mio doppio, sì. Non invento niente. Non so scrivere ma ascolto. Sento la radio. So mille cose. So del doppio, di Dio, di Picasso. Cos’è che mi leggi? Chi è che l’ha scritto? Dài, leggi, fammi sentire! E’ un articolo? Un articolo su di me? «Filippo Bentivegna fa piramidi di facce. Ma non assomigliano ai lavori di Fernando Nanetti, che riempì di graffiti le pareti del manicomio di Volterra. Bentivegna ha un progetto preciso: vuole esibire la sua bizzarria, come il principe di Palagonìa i suoi mostri. L’isolamento in cui ha lavorato non ci impedisce di considerarlo, a tutti gli effetti, uno scultore dominato dall’idea fissa della testa umana. È proprio così diverso dal folle scultore di Sciacca un artista contemporaneo come Alberto Giacometti, di cui Bentivegna non avrà mai sentito neppure parlare? Giacometti, le sue teste le mette a confronto con l’aria e la strada. Bentivegna le ammucchia ossessivamente nel giardino, fino a farne un tempio involontario». Chi lo firma? Gillo Dorfles?

Un tempio, già. Io sono vecchio, sì. Vecchio.
Io sì. Le mie teste, no.
Ma da domani, se mi restano le forze, riprendo a scolpire. Non ci sarà un solo momento di sosta. La creazione non è finita. Bisogna fare un po’ d’ordine, nelle tribù di questo pianeta. Tutte queste montagne intorno a me. Teste piccole, appena nate. Teste di re. Teste colorate, seccate, dormienti. Teste sul davanti dei sassi. Teste sul retro. Teste sempre. Quale il dritto? Quale il rovescio? Da nessuna parte. Qui ammucchio incubi ovunque. Ce n’è una che ho infilato dentro un albero di noce, nel cuore del suo legno: è rosata, piccolissima.
Maria? Torna tu, da Maria! Sarà vecchia vecchia, brutta, bruttissima. Sì, da giovane lavoravo a Boston in una linea ferroviaria. Un uomo mi ha colpito, qui, sulla fronte. Ci siamo picchiati per lei. Ma le sono grato. L’amavo e quell’uomo mi ha rotto la testa perché l’amavo e così ho cominciato a riparare la mia testa rotta con le mie teste eterne. Grande, grande fortuna. Guarda laggiù. Guarda lassù. Séntile, le mie storie. Séntile tutte.
Ero bello per Maria? Davvero? Ero proprio bello? I matti, sai, diventano eroi se li ricordi, se non lo scordi…
Testa fa li testi.
Testa fa li testi.
Testa fa li…
