e altre poesie
(traduzione di Alfonso Guida)


III. IL FILOSOFO
Ne hai fin troppo del pensiero, filosofo.
Troppo a lungo hai sognato,
nel buio, in questa stanza desolata,
mentre il sole si va irraggiando.
Anima di assoluti spazi, quale triste ritornello
conclude, ancora una volta, le tue preoccupazioni?
Oh, per quelle volte in cui dormirò
senza identità.
E non importa se la pioggia potrà bagnarmi
o la neve coprirmi.
Nessun paradiso promesso, questi desideri selvaggi
potranno tutti o in parte esaudirsi;
nessun minaccioso inferno, con i suoi fuochi inestinguibili,
soggiogherà questa inestinguibile volontà.
Così ho detto, e lo ripeto;
fino alla mia morte lo dirò-
tre dei, dentro questa piccola cornice,
guerreggiano notte e giorno;
l’intero paradiso non potrebbe contenerli,
eppure essi sono contenuti in me;
e saranno in me finché avrò dimenticato
la mia presenza, la presenza della mia entità.
Oh, in un istante, quando nel mio petto
si saranno addentrate le loro lotte!
O quando non soffrirò più e avrò riposo
per tutto il giorno.
Ho visto uno spirito in piedi, un uomo,
dove tu eri fermo- un’ora fa,
e intorno ai suoi piedi correvano tre fiumi
di uguale profondità, di uguale movimento-
un fluire d’oro- e uno come il sangue;
e un altro sembrava di zaffiro e,
dove le loro acque torrenziali confluivano,
lì precipitava in un mare nero, d’inchiostro.
Lo spirito lanciava il suo sguardo fisso e abbagliante
giù, attraverso l’oscurità oceanica della notte,
poi, bruciando tutto con fiamme improvvise e vivide,
l’abisso felice scintillava, profondo, luminoso-
bianco come il sole, lontano, più lontano
delle sue sorgenti divise.
E anche per quello spirito, veggente,
ho vegliato e sofferto per tutta la vita.
L’ho portato nel paradiso, nell’inferno, nella terra e nell’aria
e ho cercato senza fine, sempre sbagliando,
ma ho visto quest’occhio glorioso
illuminare una volta le nuvole più selvagge di me,
non ho mai levato alto il mio grido vile
per smettere ogni pensiero, per porre fine al mio essere;
non ho mai chiesto di consacrarmi all’oblio
né di stringere la mano impaziente alla morte,
né ho implorato di mutare in un riposo privo di conoscenza
quest’anima sapiente, questo respiro vivo-
oh, lasciami morire- che questa lotta atroce
tra volontà e potenza possa finire;
e il bene conquistato e il male conquistatore
si perdano in un unico sonno.
Ottobre, 1845

***
XIII. SIMPATIA
Non ci sarà disperazione
finché, ogni notte, nasceranno le stelle
e la sera verserà la sua rugiada silenziosa,
e il sole farà d’oro il mattino.
Non ci sarà disperazione- anche se
lacrime
cadranno giù, a fiumi:
non sono quanto di più amato
ruota, da sempre, intorno al tuo cuore?
Tu piangi, essi piangono, va così;
il vento si lamenta come te
e l’inverno lascia cadere il suo dolore
nella neve dove cadono le foglie d’autunno,
dove poi tornano alla vita e dal tuo destino il loro
non può essere diviso;
allora, mettiti in viaggio, se non allegro,
giammai col cuore spezzato.
***
XXI. IL VECCHIO STOICO
Ho creduto nella luce delle ricchezze
e ho riso per disdegnare l’amore;
ebbi desiderio di fama, ma fu un sogno
e svanì con la brughiera:
e se prego, la sola preghiera
che muove le mie labbra
è “Lascia che io sopporti il cuore
e dammi libertà”.
Sì, i miei giorni in corsa
sono vicini al traguardo,
nient’altro imploro che questo:
un’anima senza catene nella vita e nella morte
e che soffra con coraggio”.
I testi sono tratti da: Emily Brontë, The Complete Poems (compiled and edited by Clement Shorter), Pantianos Classics, first published 1908.

