
Negli abissi luminosi*
Mànteis e prophétai
D12, Plat. Tim., 72 a-b
Di qui la regola di istituire la classe dei profeti (prophétai) come interpreti delle divinazioni ispirate dal dio. Ma alcuni li chiamano divinatori (mànteis) perché ignorano completamente che costoro sono interpreti delle parole enigmatiche e delle visioni, ma in nessun modo divinatori: sarebbe giusto in massimo grado che fossero definiti interpreti di ciò che viene divinato.
D13, Plat., Tim., 71e-72a
C’è un segno sufficiente che il dio ha assegnato la divinazione alla umana dissennatezza: nessuno è toccato da una divinazione ispirata dal dio e veritiera quando è in sé, ma quando la forza del suo pensiero sia impedita durante il sonno o nel corso della malattia, oppure sia alterata dalla possessione divina. Ma spetta a chi governa la propria mente rintracciare memoria delle cose dette durante il sogno o nella veglia dall’indole divinatrice ed entusiastica e riflettere su di esse, e discernere il raziocino di tutte le visioni contemplate, per cogliere in che modo significhino qualcosa e a chi indichino un male o un bene futuro, passato o presente. Chi invece è posseduto dalla manìa e rimane in questo stato non deve giudicare le visioni e le parole da lui stesso proferite….
D14, Paus., I, 34, 4
Fuorché quelli che dicono posseduti dalla follia a opera di Apollo, nell’antichità nessuno dei divinatori pronunciava oracoli, ma erano eccellenti nell’arte di interpretare i sogni.
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Mania è conoscenza
D15, Plat., Phaedr. 265B
Abbiamo diviso in quattro parti, ognuna per un dio, la folia divina: l’spirazione mantica ad Apollo; quella iniziatica a Dioniso; quella poetica alle Muse: la quarta ad Afrodite ed Eros.
D16, Plat., Phaedr., 244 a-c
Ora i beni più grandi ci vengono dalla follia, che viene concessa per dono divino. Sono state proprio loa profetessa di Delfi e le sacerdotesse di Dodona, possedute dalla follia, a procurare molti bei benefici alla Grecia, privati e pubblici, nessuno, invece, nella padronanza di sé…
Questo è degno di essere riportato come testimonianza: tra gli antichi neanche quelli che assegnarono i nomi ritennero vergognosa e biasimevole la manìa: in caso contrario non avrebbero chiamato maniké (folle) l’arte più bella, grazie alla quale si discerne iI futuro, apponendole questo nome. Ma la chiamarono così perché pensavano che la follia fosse una cosa bella, quando accade per sorte divina. Gli umani di adesso, invece, che non sanno cosa sia bello, hanno inserito una t e la chiamano mantiké (divinazione).
*I testi sono tratti da Negli abissi luminosi. Sciamanesimo, trance ed estasi nella Grecia Antica, a cura di Angelo Tonelli, UE, Feltrinelli, Milano, 2021.


