LA PIENA MISURA. André du Bouchet

Alberto Giacometti, André du Bouchet
André du Bouchet

La piena misura*

Se l’irrimediabile non è, alla fine, altro che la morte, questo sogno nel corso del quale Baudelaire aspetta una rappresentazione – della morte? della poesia? – e non la suscita se non per ricusarla, rivela in che cosa una simile attesa si risolva. Questa attesa, a prima vista, non è problematica. E io aspettavo ancora. Questa attesa, all’origine del poema, attraversa la speranza che ha potuto evocare. Si può dire che il poema non le risponde in nessun modo. Da allora il poema non è niente – nient’altro che questa attesa. Ma attendere ancora, è essere vivo. Questo niente, anche senza speranza, impegna tutti interi.

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L’attesa che avrebbe precipitato il poema è una esigenza. Esigenza che si rivela come sforzo nella caduta – sforzo del cuore che si aggrappa al mondo familiare, tanto che il tempo scaduto si svuota. Esigenza che richiama ostinatamente la conversione di fatalità in infallibilità, e alla trasformazione del suo avvenire mortale in ricordo senza scappatoie. Io ero morto. Già morto, Baudelaire non può morire. Cercando di inscrivere l’ignoto futuro nel quadro di una scena dove lo stesso dramma si sarà sicuramente già compiuto, Baudelaire ci mostra il desiderio di convertire la sua morte in pura rappresentazione, che non potrà essere se non quella del ribelle. Assistere alla sua morte, dissociarsi dal presente, morire. Lo spettatore che non è spettatore non muore della morte che può osservare. Ora, la scena è vuota. Non c’è spettacolo, un vuoto inatteso ci da’ la misura reale di Baudelaire vivo e morto. La piena misura di Baudelaire.

(trad. M.E.)

*I testi sono tratti da: André du Bouchet, Baudelaire irrémédiable, Deyrolle Éditeur, 1993. La plaquette è la pubblicazione di una conferenza che si è svolta nel novembre del 1955 al “Collège Philosophique” ed è stata pubblicata nel “Courier du Centre International d’Études Poétiques,” n. 9, maggio 1956.

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