
poesia inedita finalista al Premio Lorenzo Montano 2020

nota di Maria Grazia Insinga
Ci vorrebbe una prospettiva biopoetica di quello che appare un trittico unitario, Kenosis, l’opera di Giuseppe Martella, in cui il vuoto della ferita non è spazio vacante, ma uno zero pieno di possibilità, di variabili e di inesauribile contenuto: lo spazio della scrittura, del linguaggio in stato di emergenza e, dunque, spazio simbolico. Il processo kenotico non è vuoto assoluto senza relazione, non è uno svuotarsi di sé inteso come autonegazione ma è una comunicazione dinamica della natura divina del poeta. In una prospettiva biopoetica, dunque, lo statuto dell’aria ci riporta al pleroma, πλήρωμα, alla pienezza, la luce che esiste al di sopra. Il suono e il senso in congiunzione suprema con la probabilità – direbbe Mallarmé – stanno in questo spazio poetico per sanare la rottura tra le parole e le cose, per individuare le variabili non per mettersi al riparo da esse, ma perché esse sono il senso della parola stessa, di ogni parola; le variabili sono la luce e l’ombra di tutte le parole e un coup de dés jamais n’abolira le hasard. La variante di Martella è posta al centro del trittico e mostra una parola che miracolosamente si incarna e si fa eco della voce divina, del primo invio del pleroma, del figlio che viene nel frastuono e disobbedendo tace: storia, tutta la storia, che si scrive nello spazio bianco di una variante anomala. La variante è la decreazione, il processo con cui la Weil indica l’imitazione di Dio, attraverso la quale l’uomo lo guadagna perdendo l’io e rompendo “la tela al dolce incontro omai” di San Giovanni della Croce. La ferita di Martella “che non rimargina / che dice / ciò che non deve / che si apre al nulla” richiama la dottrina sanjuanista del “nada y todo” e l’ascesa al Monte Carmelo. Fare posto alla creazione, ritraendosi da essa: svuotamento che trasforma in Dio, o in poesia, quasi per contagio, per il bacio di “altre ferite”. E l’Autore ne ride “nell’estremo disagio / dell’ultimora”. Non è più il poeta a vivere ma è la poesia che vive in lui – parafrasando Paolo (Gal. 2, 20) – dopo la meraviglia: l’opera trasmutativa in miniatura per eccellenza della farfalla-anima jungiana, “quell’essere occhieggiante, eolio ed elusivo (anima ψυχή)”. Da essere strisciante a essere-cielo, la non consapevolezza del disegno è la meraviglia: un bruco che si trasforma in farfalla smette di essere un bruco, ma la poesia che diventa scrittura non smette di essere poesia. È questa, forse, la meraviglia “rarissima e sola” del modello kenotico di Martella? La poesia, così, non acquisisce solo un corpo, la scrittura, ma anche una forma, il pensiero. E tutto ciò avviene per una trasformazione, traduzione del pensiero, della poesia, per il tramite del linguaggio. Quella di Martella è una tela sensitiva – un velo / una lasca, una spina / un fuscello leggero / una trave – che attende la conclusione dell’opera: l’unione tra l’anima e Dio, o l’unione dell’anima con il corpo. La stessa vita sensitiva e animale di cui San Paolo scrive: Sappiamo che, quando verrà a disfarsi la casa terrestre di questo nostro tabernacolo, avremo da Dio una eterna abitazione nei cieli (Seconda Lettera ai Corinzi 5,1). E poi, la celeste lasca nel trentesimosecondo canto del Purgatorio non corrisponde, forse, a quel 30 marzo del 1300 che volge all’1 di aprile e a quella biforme fiera dalle due nature che è il grifone, che è il poeta con la sua divinità? Giuseppe Martella, nato il trenta marzo è, in effetti, rivelato all’anagrafe il primo di aprile: duplice fin dalla nascita. La lasca è un pesce della specie dei Ciprinidi e Dante allude alla costellazione dei Pesci, dietro la quale raggia quella dell’Ariete. E con la primavera dantesca, l’opra martelliana così finisce: con la sclera dell’ala – in medicina la lesione dell’occhio di chi trascorre molto tempo al sole – che ricorda la mariniana meraviglia del fin del poeta. E noi lettori, qui, di fronte al non-ancora che è brama di rompere la tela tra uomo e poesia; qui, col Marino di fronte agli ocelli di una maestosa Vanessa a inarcare per stupor le ciglia.

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Kenosis
Ferita
Mi pregio
di questo sfregio che mi hai fatto
Signore
questa cicatrice sulla bocca
che non rimargina
che dice
ciò che non deve
che si apre al nulla, che beve
l’aria, fin che c’è
l’acqua e il buon vino
che bacia altre ferite
a rischio forte di contagio
che ride, nell’estremo disagio
dell’ultimora.
Variante anomala
La parola che si incarna, il miracolo
su cui fa perno l’ennesima
capriola della storia
la conversione intima dell’anima
il sacrificio della vita
è forse solo un’eco dell’eco
una radiazione cosmica di fondo
della voce del padre,
del primo invio del pleroma,
solo un’onda statistica
che consente l’inversione di segno
alla funzione,
riassumendo in un grafico
la missione del figlio che viene
e nel frastuono del mondo
disobbedendo
tace.
[…]
Forse tutta la storia si può scrivere
così,
nello spazio bianco
di una variante anomala.
Meraviglia
Non chiude, c’è un velo
una lasca, una spina
un fuscello leggero
una trave?
sospesa sul vuoto
la sclera dell’ala
farfalla leggera
che vola
sbattendo le ciglia
(ti guarda, mi guarda)
rarissima e sola
la mia
meraviglia.
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Giuseppe Martella è nato a Messina e risiede a Pianoro (BO). Ha insegnato letteratura e cultura dei paesi anglofoni nelle Università di Messina, Bologna e Urbino. I suoi studi riguardano in particolare il dramma shakespeariano, il modernismo inglese, la teoria dei generi letterari, il nesso fra storia e fiction, l’ermeneutica letteraria e filosofica, i rapporti tra scienza e letteratura, e tra letteratura e nuovi media. Dopo essersi ritirato dall’insegnamento, da alcuni anni si interessa anche di poesia italiana contemporanea, collaborando con diverse riviste cartacee e online (La Clessidra, Poesia Blog Rainews, Poetarum Silva, Versante Ripido, Carteggi Letterari, Nazione Indiana, Le stanze di carta, Inverso Poesia, Biblia d’Asfalto). Non ha pubblicato versi propri. Fra le sue pubblicazioni a stampa: Ulisse: parallelo biblico e modernità, Bologna, CLUEB, 1997; Introduzione alla lettura di Dubliners, Imola, La Mandragora, 2001; Margini dell’interpretazione, Bologna, CLUEB, 2006; Ciberermeneutica: fra parole e numeri, Napoli, Liguori, 2013; Tecnoscienza e cibercultura, Roma, Aracne, 2014; G. Martella, E. Ilardi, Hi-story. The rewriting of History in Contemporary Fiction, Napoli, Liguori, 2009.
Maria Grazia Insinga, siciliana (1970), dopo la laurea in Lettere moderne, il Conservatorio e l’Accademia musicale si dedica all’attività concertistica. Nell’ambito degli studi musicologici censisce, trascrive e analizza i manoscritti musicali inediti del poeta Lucio Piccolo. È docente di ruolo presso l’Istituto “Giovanni Paolo II” di Capo d’Orlando dove insegna Pianoforte. Per fare poesia con gli studenti delle scuole, idea due premi: nel 2014 La Balena di ghiaccio, il premio di poesia per i giovani in memoria del poeta Basilio Reale, sostenuto dall’Assessorato ai Beni Culturali di Capo d’Orlando e dal LOC Laboratorio Orlando Contemporaneo; nel 2019 il Premio Lighea, patrocinato dall’Assessorato dei Beni Culturali e dell’identità siciliana e organizzato dalla Fondazione Famiglia Piccolo di Calanovella. Dal 2016 al 2019 è membro del consiglio editoriale di “Opera prima” iniziativa editoriale diretta da Flavio Ermini. Dal 2020 fa parte della giuria del “Premio Lorenzo Montano” e del Comitato di lettura di Anterem Edizioni. Ha pubblicato libri di poesia: Persica, con le illustrazioni di Emanuela Fiorelli, raccolta vincitrice del concorso “Opera prima” (Anterem, 2015); Ophrys, con le illustrazioni di Eunice Kim, raccolta finalista al XXX “Premio Montano” (Anterem, 2017); Etcetera, con le illustrazioni di Alessandra Varbella, in forma di leporello in versi (Fiorina, 2017); La fanciulla tartaruga, con le illustrazioni di Stefano Mura, in forma di carnet de voyage (Fiorina, 2018); Tirrenide, raccolta in versi vincitrice della XXXIII edizione del Premio Lorenzo Montano (Anterem, 2020). Alcuni testi in versi e in prosa si trovano in libri, riviste e antologie.

Un pensiero riguardo “KENOSIS. Giuseppe Martella”