
Io piango quando il sole tramonta perché mi ruba alla tua vista e io non so accordarmi con le sue rive notturne. Benché sia basso e senza febbre, impossibile andare contro il suo declino, sospendere la sua sfoliazione, strappare qualche desiderio al suo luccichio moribondo. La partenza del sole ti sprofonda nella sua oscurità come il fango del letto fluviale si diffonde nell’acqua del torrente attraverso i detriti delle rive distrutte. Durezza e morbidezza, con energie diverse, hanno effetti simili. Smetto di ricevere l’inno della parola; subito appari più intera al mio fianco; non è il fuso nervoso del tuo polso a tenere la mia mano ma il ramo vuoto di un qualsiasi albero morto, già colpevole. Non si nomina nulla se non il brivido. Fa notte. Gli artifici che illuminano mi trovano cieco.
Io non ho pianto davvero che una sola volta. Il sole sparendo aveva tagliato il tuo viso. La tua testa era rotolata nella fossa del cielo e io non credevo più a un domani. Chi è l’uomo del mattino e chi l’uomo delle tenebre?
*Da La Parole en archipel. In René Char, Oeuvres complètes, Gallimard, Paris, 1983.

