

L’occhio e le parole. Bernard Noël
di Lucetta Frisa
«Sempre legata alla corporeità, la mia scrittura si sviluppa da “scrivo quello che vedo” a “quello che scrivo mi vive”. Questo percorso si realizza con naturalezza. Obbedisce allo sviluppo della mia coscienza che, intensificando la sua percezione primaria, giunge a creare, nel suo centro, la facoltà della vista nello stesso momento che vede. Appare, in tal modo, una funzione di sintesi in cui l’organo è una specie d’occhio centrale – un occhio che, attraverso la visione simultanea del contenuto dello sguardo e del processo del guardare, crea un nuovo modo d’indagine e di conoscenza. Questa conoscenza è, simultaneamente, tanto il sapere quanto il sapere di sapere che, dall’occhio da cui è sorto, fino al centro del “conosciuto”, mette in circolo un movimento di scambio che è organico come un qualunque circuito nervoso. Questo movimento assume il ruolo di un sistema nervoso, nel senso che non si accontenta solo di mettere in rapporto, ma sa controllare, autocontrollarsi e informare. Da qui, il fatto di vedere e di vedermi mentre vedo diventa un fenomeno fisico indistinguibile dagli altri, se non per la sua acutezza e il suo potere di concentrazione. Da questo momento, non mi definisco più in rapporto a un “interno” e a un “esterno”, ma, sinteticamente, io sono tutti e due. Sono tutti e due perché li comprendo in me. La scrittura è l’espressione di questo “io sono tutti e due” in cui trovano una tale coincidenza il mio pensiero, il mio sguardo e la mia carne (il mio Io, la mia Coscienza e il mio Me stesso) che manda in pezzi tutto il vecchio dualismo in quanto non ha più nessun senso. Io sono. Sono questo occhio aperto al centro della mia coscienza, e mai niente è stato così chiaro di questo sguardo inseparabile dal mio corpo. Il mio corpo è al tempo stesso guaina e focolare di questo sguardo, ma non produce la sua materia se non per pensarla. E ora so che non c’è mezzo di pensiero, non c’è un Io-da-pensare, che sarebbe lo spirito, ma tutto il pensiero scaturisce e si ascrive al culmine di questo lavoro materiale, lavoro del corpo che esprime questo pensiero nel corso del guardare come ho cercato di descrivere e che è l’unica sorgente delle parole (Gennaio 1956).
Nota 1
La minima carne, in me, ha la sua rétina.
Il minimo gesto, la minima immagine e
il mio sguardo al suo estremo hanno una rétina.
L’ombra va in mille pezzi.
Ovunque non c’è chiusura.
Nota 2
Poter passare,
poter dire a domani o a dopo,
poter dire ieri o anticamente,
era questa l’ombra degli organi.
Ora, tutte le facce del volume sono visibili
allo stesso tempo.
Ora,
eccomi in un mondo dove le palpebre
servono solo per dormire.
Nota 3
Centro del centro del centro,
a perdita d’occhio,
ma l’occhio mai si perde:
un altro occhio gli dà il cambio
lo guarda
lo obbliga ad auto-guardarsi
moltiplica il suo potere.
Occhio nell’occhio,
occhio corpo dell’occhio,
occhio osso del tempo.
Ho scelto questo brano in prosa e queste tre poesie (che Noël chiama note) perché appartengono a Le lieu des signes, scritto nel 1956 (oggi pubblicato in Unes Editions, 1988), dove sono raccolti i primi testi di Noël e da lui considerato, a tutti gli effetti, il suo primo libro. È dunque un volume fondamentale per avvicinarsi a tutta la poetica di Noël, che qui mostra le proprie basi, già perfettamente strutturate, per poi amplificarsi, approfondirsi, condensarsi in diverse variazioni, nei libri successivi: molti saggi e romanzi, moltissime poesie in cui ribadisce la poetica dello sguardo e del corpo, poetica suggerita dalla conoscenza di Artaud e Bataille (sul solco di Nietzsche ancora prima tracciato da Spinoza). È la percezione del corpo come psiche e della psiche come corpo con i suoi sensi allo scoperto – in particolare la vista e con la vista la visione – che recitano il dramma splendido e orrendo della vita nella sua inseparabile danza con la morte.«Il faut voyager dans son corps à la rencontre du temps» è una sua frase altamente indicativa nella sua disarmante semplicità. Pochi autori come lui hanno avuto la spudoratezza di mettere cuore e intelligenza così à nu, portando all’estremo le proprie convinzioni. In queste tre brevi poesie enunciative della sua poetica che seguono il brano precedente, si avverte questa presa di coscienza simile a un’assoluta folgorazione insieme allo stupore che provoca: il corpo può essere squadernato come un disegno cubista, dove la luce, avvolgendolo tutto, lo costringe a una veglia insonne, indicandogli il suo limite e allo stesso tempo il suo infinito.
Quasi quarant’anni più tardi Bernard Noël, in uno dei suoi libri di poesia tra i più belli e convincenti L’ombre du double, ci riparla di una vista triplice se non molteplice. Molteplicità e complessità di sguardo che ritroviamo in tutti i grandi autori contemporanei, a cominciare dal nostro Pirandello in Uno, nessuno, centomila fino allo scrittore e pittore belga Henri Michaux: «L’io non esiste. Io è una posizione di equilibrio».

che cos’è l’oggettività
la terra è curva e il senso
un dado buttato nell’occhio
lo spazio divora tutti i luoghi
bianca notte la bocca vede
il suo tu qualcosa una fossa
nell’aria una mano va via
ritagliando la forma del mondo
davanti ad ognuno si alza l’altro
*
la piega di un gesto un labbro
nel fumo qualcuno cammina
attraverso di sé e
non se ne va il tempo
tocca le mie ossa un’ombra
cerca la mia presenza
nella luce che uccide
tutta la vita scorre fuori
la memoria più non respira
*
un tu inciso nello sguardo
scava di fronte lo stesso buco
centrale come nell’occhio
chi è solo vede la solitudine
alla fine di tutto un viso nero
forbici d’illusione
ritagliano un io d’angelo
la sua ala nella mia bocca
è la lingua del tu
Da L’ombra del doppio
(I libri dell’Arca, Joker, Novi Ligure, 2007, trad. di Lucetta Frisa, edizione originale P.O.L. Editions, Paris 1993).

Bernard Noël nasce il 19 novembre 1930 a Sainte Geneviève-sur-Argence nell’Aveyron. Gli avvenimenti che lo hanno segnato sono quelli della sua generazione: la bomba atomica, i campi di sterminio nazisti, la guerra del Vietnam, la scoperta dei crimini staliniani, la guerra in Corea, la guerra d’Algeria. Al primo libro, Extraits du corps (trad. ital. Estratti del corpo, Mondadori, 2001) segue un lungo silenzio. Dal 1969 inizia una sterminata attività di scrittura: ricordiamo il romanzo-scandalo Le Château de Cène e i grandi libri di poesia, La chute des temps e L’ombre du double, tradotti in Italia da Guanda e da Joker. Diversi i libri ispirati ad artisti come Géricault, Giacometti, Masson, Michaux, due volumi teorici sull’arte, Roman d’un regard e Les yeux dans la couleur e diverse plaquettes con artisti contemporanei. Studioso di Sade, Bataille e Artaud, scrive un saggio sul rapporto tra Antonin Artaud e Paule Thevenin, Artaud e Paule (I libri dell’Arca, Joker, 2005). Molti i suoi libri significativi in prosa, tra cui la Langue d’Anna, dedicato ad Anna Magnani, Le Syndrome de Gramsci (trad. ital. Manni, 2001), Il poema dei morti (trad. ital. Book, 2020). Nel 2005 è stato candidato al Nobel.
