TRA SENSO E SUONO. Per Cesare Greppi

Cesare Greppi

Cesare Greppi sembra, scrivendo, volersi nascondere. Ma nascondere da cosa? E nascondersi come? Il magistero stilistico del poeta è orientato a celare il senso nel suono e il suono nel senso. Quando diventa chiara un’idea o un’immagine, allora una nebbia sottile, un puntillismo di concatenazioni sintattiche, di strutture semantiche, la cela. Quando invece sembra che ogni significato sia assente, la sintassi si fa lieve e certe frasi misteriose appaiono, per contrasto, limpide.

Greppi tesse il suo contrappunto, invitando il lettore a sostare nelle sequenze dei suoi versi come in camere linguistiche dove non sai se l’aria sia appena scomparsa o stia per tornare. L’atmosfera è un immobile bassorilievo dove il nulla è sempre presente, ma con sfumature, accenti, grazie diverse: quel nulla che è «radice trionfale» e «colore d’ogni scopo»; quel nulla che è «l’aria buia» che cede o la «dolcelingua» che accoglie. Pur nascosto nelle sue gabbie sintattiche, che rimandano ai nomi consueti di Gòngora o di Mallarmé, il poeta, con i suoi stratagemmi verbali, più che costruire gabbie dove finti uccelli si trovano attoniti a cantare, ricama reti linguistiche e intarsi pazienti, artigiano sereno di una lingua che si nasconde nel senso e nel suono, lasciando il lettore a guardare, da solo, in silenzio, un arazzo verbale tessuto in assenza d’autore – sinopia di un’opera imminente che non sarà mai compiuta. Schizzo, sì, ma assoluto e perfetto come certe forme brevi della scrittura musicale – dalla bagattella al notturno, dall’improvviso alla mazurca, dal valzer al lied. Come in Meeres Stille di Franz Schubert, su testo di Goethe, dove la voce che canta è appena l’increspatura di un orizzonte armonico, immobile come la linea del mare evocato.

Indicativa una plaquette dal titolo Saeptus septies. Saeptus significa “recinto”, “mura”, “pareti”, e septies “per la settima volta”. Il titolo è quindi già un verso: «Quel recinto, per la settima volta». Il libriccino si compone di sette poesie numerate, tutte scritte in corsivo, che appaiono come incantesimi pronunciati in una lingua che resta italiana ma non sembra italiana. «Mentre so come sia/ chiara la dolcelingua,/ scrivi i miei pensieri,/ gentilmente, subito./ Io ti consolo: morto/ è il modo che ha / l’aria buia di cedere»; «Una grotta e l’infinita/ sottigliezza dell’aria vorrà/ gioia matura: noi/ lì metteremo piede,/ la mente ripara,/ fantastica la smania/ la punta del suo picco»; «Ciascuna ora alla porta:/ indugiare che nulla/ davanti agli occhi, ma posto/ sulle spalle come radice/ trionfale e come/ colore d’ogni scopo/ rimanga».

Cesare Greppi (Milano, 1936). Alterna l’attività di poeta a quella di traduttore e curatore dalle lingue ispaniche e francese. Ha curato opere di Calderòn de la Barca, Yves Bonnefoy, San Juan de la Cruz, Louis de Gòngora, Pierre Ronsard, Pedro Salinas. In poesia scrive: L’opposta persuasione, Quaderni del Proconsolo, Firenze 1963; Descrizioni della poesia, Ant-edi, Novara 1970; Stratagemmi, Milano, Guanda 1979; Saeptus septies, Laghi di Plvice, 1987; Supplementi alle ore del giorno e della notte, Milano, Guanda 1989; Corona, L’Arzanà, Torino 1991; Poesie scelte, Anterem Edizioni, Verona 2001, Camera selvatica, Interlinea, Novara 2005. In prosa: I testimoni, Palermo, Sellerio 1982; Morte precoce (Il Canneto, 2020).

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