
(illustrazione di Alfred Kubin)
Quella di Paul Scheerbart è una delle figure più singolari nel panorama della cultura tedesca fra il secondo Ottocento e il primo Novecento. Sognatore irriducibile, bizzarro umorista, bevitore supremo, ma anche scrittore prolifico, collaboratore di riviste importanti come «Der Sturm», «Das Ziel», «Der Aktion» e «Die Fackel», ispiratore della nuova architettura in vetro di Bruno Taut e pacifista convinto, Scheerbart non poteva passare inosservato, pur portando su di sé le stigmate del «minore», esposto per vocazione alla minaccia dell’oblio dei posteri.
Tra i più decisi, ma anche atipici, estimatori della sua opera, figura senza dubbio Walter Benjamin, la cui lunga fedeltà ha avuto modo di manifestarsi a più riprese. L’attenzione del critico è stata attratta in particolare dal più importante degli scritti narrativi di Scheerbart, il romanzo fantastico Lesabéndio1. Possiamo datare la lettura benjaminiana del volume al 1917, anno in cui l’amico – e futuro grande studioso di mistica ebraica – Gershom Scholem gliene regala una copia (nell’edizione illustrata da Alfred Kubin), quale insolito dono nuziale2. Da allora Benjamin non cesserà di essere affascinato da quest’opera ambientata sul lontano asteroide Pallas, e verrà riscontrando in essa una singolare affinità con le proprie idee. Una prima testimonianza di tale interesse si può trovare in un breve scritto composto prima della fine del 1919, ma pubblicato solo postumo3. Il romanzo vi viene presentato come «il frutto di una vita intellettuale molto pura e meditativa», in cui «l’oggettività e riottosità del processo tecnico è diventata il simbolo di un’idea reale»4. Nel libro, infatti, «gli intrecci dell’amore, i problemi della scienza e dell’arte, sì, la stessa prospettiva etica sono interamente esclusi, per poter sviluppare, tramite i fenomeni più puri e inequivocabili della tecnica, l’immagine utopica di un mondo spirituale astrale»5. Se Lesabéndio può apparire agli occhi del lettore distratto come nulla più di una favola fantasiosa ed innocua, Benjamin, dal canto suo, ne evidenzia all’opposto l’oggettività (anche sul piano dello stile), individuandone l’origine in una drastica soppressione di ogni umanistica idea di interiorità.
Ancor più impegnativa, verosimilmente, doveva essere la «critica filosofica» del romanzo attuata da Benjamin in un ampio studio del 1920 sulla politica, andato purtroppo perduto. Ma riferimenti a Scheerbart sono comunque reperibili in alcuni dei saggi benjaminiani più noti, da quello sul surrealismo a quello su Karl Kraus6. In quest’ultimo, una descrizione del carattere distruttivo e purificante dell’opera krausiana dà luogo alle considerazioni seguenti: «L’europeo medio non ha saputo unire la sua vita con la tecnica perché è rimasto fedele al feticcio della vita creatrice. Bisogna avere già seguito la lotta di Loos col drago “ornamento”, bisogna aver udito l’esperanto astrale delle creature di Scheerbart o avere scorto l’“angelo nuovo” di Klee, che preferirebbe liberare gli uomini prendendo loro quello che hanno che renderli felici donando, per poter comprendere un’umanità che si afferma nella distruzione»7.
Questa tendenza a situare Scheerbart all’interno di un’ideale costellazione di artisti impegnati a distruggere quel poco che resta dell’esperienza tradizionalmente intesa, al fine di costruirne – su basi tecniche e non psicologiche – una del tutto nuova, viene ribadita in un testo che reca il titolo di Esperienza e povertà8. Qui il riferimento alla lingua, non più ad immagine dell’uomo, parlata dagli abitanti di Pallas, si unisce ad un richiamo allo Scheerbart teorico dell’Architettura di vetro9. In questo delizioso pamphlet, lo ricordiamo, si annuncia il prossimo avvento di una civiltà fondata sulla progressiva sostituzione degli edifici in mattoni con altri in vetro colorato, cosa che recherà con sé un sorprendente mutamento dell’ambiente urbanistico e naturale, nonché dell’intera vita sociale e psichica dell’uomo. Nella predilezione per il vetro, materiale liscio, freddo e sobrio, privo di «aura» e strutturalmente ostile – in forza della sua trasparenza – al culto borghese del possesso e del segreto, Benjamin vede un segnale di disponibilità al radicalmente nuovo.
Da ultimo, il breve saggio Sur Scheerbart10, risalente all’ultimo anno di vita e scritto direttamente in francese (in vista di una pubblicazione, poi non realizzatasi, sulla «Gazette des amis des livres» di Adrienne Monnier), ci mostra un approccio leggermente diverso al prediletto romanzo scheerbartiano. In questo caso, infatti, Benjamin sembra voler accentuare non tanto il momento distruttivo insito nella visione della tecnica propria dell’autore, quanto piuttosto quello utopico-liberatorio, evidenziato attraverso il significativo riferimento a Fourier. L’inclinazione fourierista a concepire il lavoro umano come volto non a «sfruttare la natura», bensì a «sgravarla delle creazioni che, in quanto possibili, sono sopite nel suo grembo»11, si ritrova senza dubbio in Lesabéndio, ma appartiene in misura non minore al patrimonio di pensiero proprio di Benjamin12. Questa concezione, non certo priva di attualità, può forse costituire uno stimolo ulteriore per un ripensamento delle «ventilate utopie»13 di Scheerbart, e delle riflessioni che esse hanno suscitato in un lettore attento e partecipe quale Walter Benjamin.
(2003)
1 P. Scheerbart, Lesabéndio (1913), tr. it. Roma, Editori Riuniti, 1982 e Pordenone, Studio Tesi, 1991.
2 Cfr. G. Scholem, Walter Benjamin. Storia di un’amicizia (1975), tr. it. Milano, Adelphi, 1992, p. 68.
3 W. Benjamin, Paul Scheerbart: «Lesabéndio» (1919), in Il concetto di critica nel romanticismo tedesco. Scritti 1919-1922, tr. it. Torino, Einaudi, 1982, pp. 128-130.
4 Ibid., pp. 128-129.
5 Ibid., pp. 129-130.
6 Cfr. W. Benjamin, Il surrealismo (1929), in Avanguardia e rivoluzione. Saggi sulla letteratura, tr. it. Torino, Einaudi, 1973, pp. 11-26, e Karl Kraus (1931), in Opere complete, vol. IV, tr. it. Torino, Einaudi, 2002, pp. 329-358.
7 Karl Kraus, cit., p. 357.
8 W. Benjamin, Esperienza e povertà (1933), in Opere complete, vol. V, tr. it. Torino, Einaudi, 2003, pp. 539-544.
9 P. Scheerbart, Architettura di vetro (1914), tr. it. Milano, Adelphi, 1982.
10 W. Benjamin, Sur Scheerbart (1940), in Écrits français, Paris, Gallimard, 1991, pp. 252-254.
11 W. Benjamin, Sul concetto di storia (1940), tr. it. Torino, Einaudi, 1997, p. 41.
12 Si confronti ad esempio l’aforisma che conclude Strada a senso unico (1926), in W. Benjamin, Opere complete, vol. II, tr. it. Torino, Einaudi, 2001, pp. 461-463.
13 L’espressione è benjaminiana (cfr. Il surrealismo, cit., p. 18).
