IL MODELLO DEL MONDO. Lucetta Frisa

Per IL MODELLO del MONDO di Alberto Cappi, Milano, Marietti, 2008

Scrive Davide Rondoni sul retro di copertina: “Alberto Cappi è da sempre legato ad una laboriosa esperienza della poesia come “scrittura”: come gesto, insomma, in cui il silenzio e le infinite possibilità della lingua danno vita a qualcosa di misterioso. Aprendo spazi d’incontro e di conversazione profonda. La poesia come affioramento delle parole e contemporaneo inabissamento nelle avventure del significato. Pochi come lui in Italia hanno tanto viaggiato nell’esperienza dello scrivere, anche attraverso il territorio del lavoro sui testi altrui, con traduzioni, scelte antologiche ed esercizio critico”.

Mi soffermerei su quel “qualcosa di misterioso” che traspare da sempre, nella poesia di Cappi. Sarà un intento mirato o felicemente casuale, o sono le parole stesse a prendere la mano al poeta per condurlo a quella sospensione, a quello stato di mistero che, a mio avviso, connota la vera poesia? Sarà che attraversando tutti i terreni linguistici, da profondo studioso lacaniano, da appassionato ricercatore dentro la lingua di epifanie linguistiche, che il Nostro ha affinato nel tempo la sua techné raggiungendo l’apparente spontaneità del dire e, in particolare, del dire con “effetto di mistero”? Ancora non basta a motivarne il percorso, dato che non tutti i poeti che hanno compiuto un iter analogo a quello di Cappi ci hanno consegnato testi di quel livello, di quella cifra e timbro. La sua tenacia per il lavoro della poesia e l’intransigenza, la passione tenuta viva al fuoco di sé stessa, non bastano a spiegarne la lunga militanza (brutta e abusata parola, ma non riesco a trovarne altra) dato che Cappi, esercitandosi nell’arte della variazione, è sempre rimasto fedele a se stesso. Resta quindi quel mistero che è solo suo e forse inspiegabile anche a lui.

Il modello del mondo è un piccolo libro mistico, direi di orazioni musicali sussurrate–il più delle volte in forma di sestina con rime e assonanze interne ed esterne- con accensioni e raffreddamenti di un surrealismo barocco. Lo stesso vibrante sussurro che avevo riscontrato, tra i sui libri più recenti, in La bontà animale (I quaderni del circolo degli artisti, Faenza, 2006) che tanto mi aveva sedotto. Sono rivolte a un Ente divino o a un Ignoto sfuggente e ineluttabile, senza enfasi o retorica: i versi scivolano raccolti nella loro grazia, nella loro umiltà e solitudine, consegnandoci un testo disarmato e disarmante, limpido come un cristallo. Anche questo, come i precedenti, ha la preziosità del livre de chevet, piccola lezione di tenebra non minimale né tantomeno minimalista, ma in ultima analisi, “formella” raffinatissima di una luce quasi ultraterrena.

La svenante notte e l’avorio

cavo delle luci la cometa

è brivido di seta. Come

tutto il dolore è polvere

da sparo: la terra pallottola

vagante in cerca del suo Nome.

**

Come acqua di cielo su

acque di mare apre i sentieri

alle correnti,il tuo Nome

ancora il vento e le nubi

sposta sulla luna. Resta

dei tempi il suono,una

linea di confine,l’uomo.

**

La pagina del cielo

graffiata dal lampo.

Senza veli

la nudità del Dio.

Tu sei il nome.

Il segno

non ha scampo.

**

Il vento della sera lambito

da ali e pollini di loto,

un bosco di memorie e nevi,

i soli neri un carro senza scia,

la lingua che farfuglia e lascia

il taglio dell’artiglio al vuoto.

**

Fu così che giungemmo al bosco

il cuore fiorì verde la spina

del profumo bruciò le ciglia

una voglia di sonno raccolse

nel battello della noce la parola

e il dolce stare: la terra non

ci accolse e fummo soli

**

Hanno scaglie come specchi solari

e tendini che vibrano al soffio dei venti.

Hanno tramonti e iridi e ventri

che aggallano come spenti tamburi. O

vortice o improvviso forcipe o viso

della sorte:umana onda nascita morte.

**

Le trame degli uccelli che scoppiano

nel cielo in fiori di reti forate

dalla barca solare tra remiganti

remi piumati e buffi soffi

delle bombe urbane così dall’alto

così dall’alto le catacombe umane.

**

E’ questo Il giorno in cui cadono

gli alberi e cercano le loro radici

nel dolore della terra che si alza

al viso dell’uomo chi ascolta è

nessuno nessuno ricorda la storia

dell’avo solo il vuoto è memoria

**

Questa è l’alba e io ti invoco

ho acceso la lampada della mia voce

il muschio è trappola per le vane vocali

e il suono si perde l’ombra ci rende

docili al giro della sciamante stella

noi eravamo, erriamo, siamo capanna.

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