PER “I PRATI BRUCIARE”. Gianni Priano

Gianni Priano, I prati bruciare, Temposospeso edizioni, Genova 2025

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Un romanzo? No davvero. Una serie di prose? Nemmeno. Scritture, credo. A libero modo. Dentro la biografia e dentro il pensiero. Leggere questo libro è mettere aria nella propria testa. A cominciare dal titolo, che è un’invocazione, un grido, un avviso: “i prati bruciare”. Cosa leggiamo, qui? Storie disinvoltamente appuntate sul foglio, avversarie di ogni rigida struttura narrativa o romanzesca, confessioni spericolate ed efficaci. Ascoltiamo un Tristram Shandy di campagna? Gli editti di un poeta civile? I sermoni di una creatura spiritosa? Le cantilene di un poeta innamorato? Tutto, e simultaneamente. La serietà tragica, in Priano, si sposa a un’ironia fulminea, espressa in modi orali, che non consente al lettore di capire i “venti” del libro, le sue direzioni, ma lo persuade a leggere ancora, fin verso la fine, dove l’io narrante si smaschera e racconta le sue quattro morti. «Faccio a fatica a dire della quarta maschera. Perché le parole non sono le cose e non ci sono parole quando le cose non si capiscono. Non ci sono parole per le cose che non si capiscono, tipo che fine ha fatto la quarta maschera quando morii la quarta volta o che se ci sono è solo per dire che non ho capito». Avvolto da una surrealtà dolente, rivoltosa e reale, chi legge ringrazia chi scrive. (M.E.)

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TESTI

La morte è quella cosa che se la nomini, se ne parli, ti guardano e ti dicono: ma dai, parliamo di cose belle. Non tutti te lo dicono, ma la maggioranza. Il tema della morte è prioritario, di nicchia. Di malattie, la gente parla volentieri perché la malattia è cronaca, racconta i fatti, fai un po’ l’ottimista, dici del catetere, dell’operazione che è andata bene. È stata lunga ma è andata bene. Della morte, invece, se parli come fosse cronaca (e lo è) guai al mondo. Sei macabro, ti dicono. Basta parlare di queste cose. Sciò. Qui però ne parlo perché qui non facciamo conversazione. Qui facciamo un libro, raccontiamo una storia.

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Il Cristo di Grünewald, ancora prima di essere crocefisso, sembra che ne abbia prese tante da levarlo d’insieme. Eppure, ci sono persone che sono morte soffrendo dieci volte di più. Persone abbandonate come lui dal padre, non solo: anche dalla madre. Tutti quelli che guardano la crocefissione dicono: porco cane che piedi tremendi gli ha fatto. Solo un artista che è entrato proprio bene in quel dolore sa dipingere dei piedi così.

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La depressione secondo me sta nell’area del sacro, la tristezza in quella del santo. Cioè. Secondo me la differenza tra santo e sacro è che il santo sale dal basso, il sacro scende dall’alto. Cioè. Il santo lo scegli e costruisci, il sacro ti sceglie e buona notte.

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Il motto del reggimento di mio nonno era: Non chiedo dove. Un motto orribile, una porcheria di motto. Non solo bisogna chiedersi dove, ma anche da dove e perché. Sono le tre domande che ci fanno umani, queste: da dove, dove, perché. E magari anche come.

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Il libro che dice io qui finisce… Perché questo libro è la giustificazione dell’io che sono proprio io con tutte le mancanze, le confusioni e gli equivoci. E senza questo libro che ho scritto sarei senza giustificazione. Tremerei nelle gambe, non avrei il coraggio di guardarmi allo specchio.

Un pensiero riguardo “PER “I PRATI BRUCIARE”. Gianni Priano

  1. E qui, voglio solo ripetere la formula di Marco Ercolani: Chi legge ringrazia chi scrive. Perché quasi sempre, Gianni Priano, scrive in stato di grazia, uno stato regalatogli forse dalla terra dove vive.

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