MENTRE SFUGGE LA RAGIONE OSCURA DEI SOGNI. Dario Capello

Nota di Marco Ercolani in margine a La straniera di Dario Capello (Puntoacapo, Ancilla 19, 2025)

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Scrive Giancarlo Pontiggia nella quarta di copertina de La straniera di Dario Capello (Puntoacapo, 2025): «Quanti poeti sanno mantenersi fedeli con tanta strenua vitalità e con tanta purezza di cuore ai propri nuclei poetici come Dario Capello?». Verrebbe da rispondere, leggendo il libro: nessuno. La straniera di Dario ci persuade di come la poesia resti, nell’intimo fondo di sé, straniato “incantamento”. Lo stesso autore, nella breve postfazione, lo conferma: «…la straniera diventa allora la personificazione di una magia, di un incantamento, e soprattutto l’allegoria potente di tutto quello che non si può nominare appieno e a cui non si può disubbidire. La vita, la morte, la poesia…». Ma procediamo lentamente. Nessuna parola, in questo libro, è pronunciata a caso ma è scandita con musicale esattezza. La “fedeltà” ai propri nuclei poetici, in Capello, assomiglia alla radice di un albero fluviale, che raccoglie limo, foglie, luce, in un sorta di felicità onirica mai decifrabile. “Quel che chiediamo di nascosto/ al suono di ogni lettera/ è vita indecifrata, una via/ per il ritorno/ un silenzio/ tra queste porte che sbattono/anche di notte, tra un piano/ e l’altro, i colpi da sotto”. L’antica consuetudine a costruire versi lievi ed enigmatici è qui, più che in altri libri, una sorta di dettatura. Non si avverte l’io che scrive, e non è un caso che nel libro proprio l’io scompaia per votarsi alla pronuncia, quasi esclusiva, del tu amoroso. “Dici che ti assomiglia/ questa vita che ci entra/ in casa da ogni parte/ sfonda verande, scrive/ a fresco sui muri/ la sua formula, un geroglifico/ di parole indecifrate”. In La straniera il poeta, coltivando l’indecifrabile, sembra non scrivere versi esatti ma abbandonarsi dolcemente alla poesia, trovandone la musica straniera là dove il suo essere la esige. “Rasoterra ora ci scambiamo/ un segno di vita,/ parliamo sempre tra noi/ parole straniere / vaganti/ sul più bello”. Il poeta, quasi disattento alla costruzione poetica, ma in realtà vigile, vive l’ipnosi di un paesaggio creato dalle parole, ogni volta diverso. “Anche noi sfumati/ nello sfondo, nella parte/ amara dei discorsi.// C’è polvere di nebulosa/ sui vetri, simmetrica,/ un disegno arcaico/ una cabala di segni, /vagamente ostile”.

Un libro amoroso come La straniera, di apparente facile lettura, nasconde nebulose di complessità, percorse dal poeta flâneur, che percepisce la lingua con sensuale freschezza, oserei dire con fragranza. L’homo poeticus si gode, e ci fa godere, le nuances dei processi mentali e la dolcezza delle sensazioni fisiche più segrete. “Ascoltiamo notte e giorno/ al calduccio, dietro le persiane/ senza capire/ ciò che accade/ in un controtempo/ che ci fa anche sapienti”. Di questo “controtempo” Capello è maestro: ci restituisce una magia mai solo verbale, ma direi tessutale, ricamando il paesaggio, fra esterno e interno, con empatia affettuosa, ironico distacco, tenera complicità. La nostra lettura di questo libro è simile a un viaggio in mongolfiera, dove assistiamo da un remoto punto di vista a una walseriana ”vita di poeta”, vissuta con “garbo”, ai margini delle cose che risuonano sempre con eccessivo rumore. La scrittura di Dario, orientata verso la leggerezza dell’acquerello, è sempre tragica maschera di minime apocalissi. Ma il suo tenero journal di cose e di sensazioni trova qui, nell’attimo colto per caso, le sue occulte radici di gioia. “Mi piace immaginare le parole della poesia come fossero sassi lanciati in acqua. Cerchi su cerchi che si incrociano, si chiamano, si provocano. Una danza di echi. Ma in letteratura ogni parola è un’eco”. Ma poiché sfugge “la ragione oscura dei sogni”, troviamo noi, come lettori, quella ragione, con le parole di Dario: “La notte, popolata di ombre, è una notte sospesa sul bilico. Da un lato la promessa, la magia dell’alba già in divenire, gli azzurrini, il rosa antico… Dall’altro la seduzione del nero perentorio; le tenebre che non dipendono dalla notte, l’estraneità alla luce”.

Un libro, La straniera, in cui la levità della costruzione, il leggero vibrare del linguaggio, la gioia esposta del corpo, ci parlano, a tu per tu, di un poeta che, oltre l’età e oltre i libri, scritti e non scritti, esiste per la sua gentile, terribile posizione nel mondo. Capello sceglie il pianissimo di una fuga discreta nelle tenebre, una fuga mai troppo buia, sempre illuminata, anche in questi tempi atroci. Dimenticati in una nebulosa i tempi della morte interiore, si può anche rinascere, sottovoce, empaticamente, fra minime, felici luccicanze, in un’”idea molto antica di armonia” (Lucetta Frisa).

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Testi

A volte, nella luce

cerchi un pensiero al riparo

dei pensiero, traversato

dalla vita

sospesa, in bilico

nella sala d’attesa

all’aeroporto, il carosello

l’andare e il tornare

confusi da una voglia

di caldarroste e casa.

Tutti pronti qui

a congiungere i due punti

al richiamo dell’altoparlante.

Entrare uscire dal mondo

come non visti,

con la stessa faccia da pokerista.

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Per te che vivi

nella voce altre voci

più disarmate

per tre solfeggio

al telefono i nomi

bellissimi della

tua resa, quella

che non separa

la vita esposta, lontana

dalla carta e

da questa camera da letto.

Esercizi di strana quiete

nel capodanno di quattro

pareti, bicchieri di cristallo

e poca luce

filtrata da sotto.

Anche di notte, soprattutto di notte

panta rei.

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È nello sguardo più vero

quello incrociato, a chiasmo

inconsapevole

di noie di come sarà

in un giorno qualunque

il turbamento

o anche il mezzo sorriso

accennato proprio quando

tutto un ritmo d’onda

e sponda

avrà ricongiunto

la vita così com’è

con l’alfabeto che la scrive.

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