L’ARDENTE MIETITURA. Carmine Mangone

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Dobbiamo persuaderci che la natura della poesia è quella di penetrare nel mondo solo quando la rendiamo varco di tutti i possibili, e che essa si manifesta perentoriamente già quando vengano gettate le fondamenta di una riduzione critica e gentile dell’impossibile; per questo motivo, essa non si manifesta mai troppo presto e non accetta in alcun modo, alla sua tavola, un desiderio indegno.

La sete di oggi è un bisogno di cielo.

Dal tuo Nord al tuo Sud,

un viaggio di mani lungo il morbido declivio della notte.

*

Il divino. Questo fragore che mi mette in comunicazione con le tue mani, le tue impudenze, la tua sterminata area di fiducia.

L’accoglienza, il divino, il divenire di tutte le cose nel mio affidarmi. È la morte del soggetto in una notte trasparente. È il convincimento della poesia, il tenersi per mano nella sofferenza frantumata, nell’insolenza abbandonata. È la tua voce che scompagina le convinzioni di sempre, riportandole a casa per una determinazione mai occasionale. È il rito che investe il controllo, lo stupore che non ha più un sesso, l’innocenza senza ipoteche e senza costernazione dell’inviolabile che ci porta.

*

Sentire un brivido

lungo ogni pensiero e

accorgermi di non essere mai solo.

Pensare eroticamente le parole,

lo spazio,

i fiori del pesco,

la ciotola del cane.

Consegnarti a tutte le morbidezze,

a tutte le inquadrature,

e far sì che la poesia del vivente possa

riscattare l’origine senza mai porre un

termine alla grammatica accorata dei germogli.

*

L’amore è la maledizione del divenire, il passo falso di ogni sogno della materia.

Al di qua della caduta, dove si rintana il nostro corpo plurale? Arroganza della luce, il saperti in un eccesso di mancanza. Dimenticare la riserva, danzare con una voce che non si lasci uccidere dalla parola, e aderire a ogni invocazione che allontani il giorno dalle banali ritorsioni della fatica.

*

Accade che.

Non so. Di questa grande pretesa contro la

nostalgia d’un fuoco di bivacco,

cosa difendere.

Il relitto dell’oltremodo,

l’Alzheimer di mia madre,

la fragranza del pane caldo,

una fortuna randagia,

un puntiglio, e alcune fotografie tra le macerie d’una

casa bombardata.

*

Smarrire il mio nome o l’esigenza delle radici.

Ripudiare la compassione.

Consumare le parole fino a sentirmi vano.

Come potrei?

Mentre la notte ha un gusto dolce di restituzione,

il fuoco si accanisce,

il dubbio si arrende

e il libro della speranza si chiude per sempre.

*

Vorrei dirti molto di più. Dire te con la vampa, le lacrime; dire con te la fiducia, il risveglio, i fiumi carsici del dubbio. Affrontare il dire. Dissodare la Storia. Aver bisogno d’inscrivere la determinazione sulla soglia dell’intentato in modo da scongiurare il mai. Un passo al di qua e si resta nel pantano della speranza. Un passo al di là ed è l’accoglimento, la sentenza di vita, il lato toccante del possibile. Sentire il mio nome tra le tue mani. Concepire un tatto del pensiero. Aderire a tutte le paure che ti sanno e ti fanno entrare. Ecco. L’assolvimento, il pungolo, l’ardente mietitura.

*I testi sono tratti da: Carmine Mangone, Post adventum veris (Il Convivio editore/Occhionudo, 2024).

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