PER “IL SORRISO DI JOHN CAGE”. Antonio Pibiri

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C’è vita dentro il cranio

incontro Herzog appeso testa in giù

gli occhi bianchi di chi non vede

nelle grotte di Chauvet

Poi nella vita c’è la vita immensa

e fiera del cervo infallibile

coi ragazzi che spaccano melograni

scagliandoli per terra

dalle naturali sedi anatomche

Fitto applauso d’ali in volo

saluta il dio che si fa giorno

La freccia punta il cuore verso sé

Chi portò la musica nell’Eden?

Chuang Tzu mi offre un rametto di corallo

senza fini ornamentali,

una rosa marina svelta dai roghi

di giostre equestri sul fondo,

dalla spolpa irriducibile.

“Usare tutto i corpo per – la – rotazione

l’intero tuo corpo, glielo devi, hai promesso

hai promesso per vivere”

*

Sveglia gli immediati tarli

un navigare

Sveglia gli immediati

nessuna scienza

-fine e inizio dei tempi-

di questo mondo e sopramondo

da grandi nebbie di demolizione

troverai tra i sette colori delle balbuzie

tutto ciò che occorre

non per ultimo alla sua

incompiutezza

*

[…]

In quale parola il volto si raccoglie?

Del lepidottero la fame non dà scampo

non la cura quotidiana delle unghie

non la doppia squilla del sole.

Io sarò in due con la mia morte:

uno di noi si salverà

*

P.S.

C’è sempre una pagina lasciata in bianco, una pagina in fondo al bianco, al lutto

lì le parole cercano

la propria assoluzione

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I testi sono tratti da: Antonio Pibiri, Il sorriso di John Cage, collana L’arcolaio rossa, Forlimpopoli 2025.

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Antonio Pibiri (Sassari 1968). I suoi libri di poesia: Il mondo che rimane (Lampi di stampa, 2010), Le matite di Henze (ibidem 2014), Chiaro di terra (L’arcolaio, 20016), Il prezzo della sposa (ibidem, 2018), In cosa consiste il lavoro (ibidem, 2020).

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La poesia di Antonio Pibiri riflette se stessa con rifrazioni speculative, ironiche, filosofiche, sospese tra immagine e sentenza, componendo/scomponendo il quadro di una realtà vacillante che non è né musica né pensiero ma entrambe, plasmata dalle nebbie di una commozione reticente, ritrosa: “un ramo controgelo preme/ in furibondo silenzio/ innerva al secolo la luna”; Bergotte, amico caro, / c’è ancora molto da morire?”; “e alle pareti nella stanza d’albergo/ un riflesso di paradiso/ l’utopia sensibile”. L’utopia sensibile è il progetto non segreto di questa poesia composita, disarmonica, indocile, impervia. Pibiri, nella poesia eponima del libro, Il sorriso di John Cage, cita le parole del musicista: “se soltanto riuscissimo a escludere la mente e i desideri, lasciando che la vita scorra come vuole”. (M.E.)

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