PAESE CAPOVOLTO

Disegno di Henri Michaux

**

Per venti notti e venti giorni galopparono fra rovi e rocce. Il ventre dei cavalli lasciava tracce di sangue. Cominciò a piovere ma neppure per un attimo aprirono la bocca per bere: forse, inconsciamente, pensavano che l’acqua potesse spegnere le loro voci. Ansimanti, vennero da noi. Balbettarono sillabe incomprensibili. Qual’era il messaggio da trasmettere, il segreto da svelare? Sapevamo che nulla li conduceva qui. Ma il re si alzò in piedi e disse: «Comunque, devono parlare. Che riposino dopo». Ma il popolo disobbedì al re. Erano troppo stanchi, i messaggeri, gli abiti impolverati, le facce cianotiche, la vertigine nelle orecchie, la tachicardia al cuore. Fu loro permesso che alloggiassero nelle stanze dell’albergo. Nello spazio di un minuto spirarono bisbigliando: «Non c’è più tempo».

Il re scosse la testa. Già lo sapeva. La storia si ripete. Degli uomini viaggiano insieme per giorni e il racconto che pensano di fare al termine del cammino, il sangue che esce dalla bocca, la vista offuscata, i crampi allo stomaco, la sete, la nostalgia, la fame, diventano indicibili. Ogni tanto, guardandosi, emettono suoni incomprensibili, per illuderci che ricordano ancora: ma anche per dirci che non sanno più cosa ricordare, che sono partiti per perdere il loro nome, diventare altro da sé, sparire come si sparisce in un luogo dove le radici degli alberi sono esposte al vento. «ll nostro paese è capovolto» bisbigliò il re, poi tacque.

Lascia un commento