
…non possiamo avanzare la pretesa di esplorare in un breve spazio tutti i racconti di Discorso contro la morte, e ancor meno ci è lecito tentare di raffrontare questi testi all’insieme dell’opera ercolaniana, ormai molto vasta e variegata. Accenniamo solo al fatto che tale ricchezza dipende da un rapporto particolare con la scrittura, simile a quello che Foucault attribuiva a Gérard de Nerval, di cui il filosofo diceva: «Sin dal l’inizio, è stato ghermito e preceduto dal vuoto obbligo di scrivere. obbligo che di volta in volta assumeva la forma di romanzi, di articoli, di poesie, di teatro solo per essere subito dopo distrutto e ricominciato. I testi di Nerval non ci hanno lasciato i frammenti di un’opera, ma la ripetuta constatazione che bisogna scrivere».
La soluzione migliore, per noi, sarà allora quella di cedere da ultimo la parola allo stesso Ercolani, che ha saputo spiegare meglio di ogni altro il senso profondo dei suoi racconti basati sull’effetto d’apocrifo, e anche il titolo scelto in questo caso per la nuova raccolta: «Sognare contro il mondo. In che modo sognare? Rubando voci. rubando l’attimo in cui ci si mette a nudo, in cui si scrive la lettera definitiva, la confessione sconcertante, il frammento inatteso che fa luce sull’enigma. ogni metafora nasce dallo stesso presentimento: la morte imminente. Cosa fare, contro questo assedio? Sviluppare molteplici modi di sognare. Allontanare il peso assoluto della morte. Nei tratti di penna e di matita che riempiono il foglio non si parla di letteratura o di pittura ma di qualcosa che sarebbe inesprimibile senza quelle frasi e senza quei segni: non si tratta di un esercizio stilistico o di un capriccio pittorico, ma di un destino fatale, di una questione di vita o di morte. Per lottare si entra nelle vite altrui. Anche la propria è una vita altrui. Si cercano frasi mai esistite, si trovano, si inventano. È un modo per dire che niente è realmente morto, niente si è realmente polverizzato – per dire che possiamo pensare e ripensare, riscrivere e ricreare, perché nulla è definitivamente concluso, per noi che soffriamo di metamorfosi».
(2009)
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Il testo è tratto da: Marco Ercolani, Giuseppe Zuccarino, Reciproche consonanze, I libri dell’Arca, Joker, Novi Ligure 2025 (p. 104).
