LA CRONICA RINITE. Marco Sbrana

Alberto Giacometti, Diego, 1953

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Spossessamento

Prelevati i nomi

i vagoni

nel bilico del quasi

mi grondano di mare.

*

Canzone semplice

Ha un cancro nella barba per ogni sigaretta

e sogna le balene quando passa il furgone

ha un porto dentro il cuore e i pesci nelle calze

trapassa nella birra per farsi addormentare

la vita non gli piace ma è gentile con tutti

le volte che è felice fa il suono delle orche

ha un figlio che non vede fratello di un aborto

però non si abbandona ai suoi persi vent’anni

lo sa che non va bene che viene la tristezza

non piange quasi mai però non è che rida

ha i disegni sul petto li fa vedere in giro

dicono che ha le ossa con incisi dei simboli

ma è solo una leggenda ma a volte pensa È vero

ma a tutti dice No non è giusto vantarsi

forse beve un po’ troppo e ha l’epilessia

il colore degli occhi come i fili di pane

quando aveva vent’anni diceva Se mi baci

ti resta sulle labbra la farina dei forni

dice solo bugie perché ha sempre paura

per non aver paura prende tante pastiglie

ha iniziato a mentire in una notte brutta

quando il papà gli chiese Hai freddo, mio ragazzo?

quando il ragazzo disse No, papà, non ho freddo

mentre adesso va via non c’è la sofferenza

il suo bastone bello ha un doppio fondo pieno

di quelle senza filtro per sentire il tabacco

domanderà all’aborto Perché non sei venuto?

e capirà se ha freddo il figlio suo mancato

Gli aliterà pagnotte sul torace

per fare della morte

il sogno di un fornaio.

*

Fina

Albeggi perdonandomi la notte

ti ho vista riesumarmi le camicie

il corpo della piana è cosa di alluvioni

la vita in questa stanza mi ammoscia nel limaccio.

L’attesa di un arpione

che mi voli lontano

dal cotone a brandelli

saperti quando albeggi

sartoria.

*

Segni di morte

La fattoria negletta del legno gonfio d’acqua

non riesce a conservarla il finestrino in corsa

irta in ogni passare ci dice del cadere

di tutti lo scemare la cronica rinite.

Grugnito di cinghiale ritorte le pupille

i nipotini sanno la nonna diventata

un varco nel domani su cui tapparsi gli occhi

differire starnuti è dicembre la felpa.

Diplomazia col mondo ad alta voce il matto

la lingua di righello per bacchette le mani

la mamma nell’ottone non gli dice neppure

che trasmissione vuole cosa si mangia a cena.

Conosco domattina un alzarmi cadendo.

*

Le civette di mio padre

Radice di mio figlio la cabina di un porto

la crapula e la sborra la terra per Anchise

del primo Anchise ignoto si sa che navigava.

La sborra è una civetta

morirò senza figli.

So bene boccheggiare

senza di te, papà.

Fino dalla cabina ci inchiodano civette

una paraplegia che m’impedisce il mare.

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