L’ARIA ASSENTE. Per Scipione

Lettera apocrifa di Scipione all’amico Falqui. Arco, 25 ottobre 1933.

Scipione (Gino Benichi)

**

Se tu dici a un uomo “dormi seduto”, quando da innumerevoli generazioni l’uomo ha dormito sdraiato, non è cosa facile da ottenere senza un indicibile strazio. Per di più con la febbre e un’agitazione delle braccia e delle gambe che ti sposta e ti rende di fuoco. Se mi sdraio però mi sembra di soffocare. Altre congestioni, altra febbre. Respiro con difficoltà, la nuca sotto una pila di cuscini. Apparentemente il tuo Scipione ha la pelle durissima – dall’esterno sembro sempre florido, giovane e forte, i miei muscoli sono tesi e spessi. Posso apparire un tronco tenace abbarbicato alla vita – ma dentro l’albero è vuoto. Come certi ulivi con le fibre salde e forti, ma svuotati di linfa, disseccati nudi come una canna.

Purtroppo – a me sembra impossibile – i polmoni sono andati. C’è è tanta aria per tutta la valle, tanto vento, ma per me tra pochi mesi non ci sarà più aria da respirare. Eppure tante cose mi urgono ancora dentro. Non ho neanche trent’anni. Ho appena iniziato la mia storia di poeta e pittore, qui sulla terra. Ho appena iniziato ad amare i colori, le donne, le parole e già tutto mi fugge via, bevuto, goduto, assorbito da altri – che non conosco, che non sono io.

Ho ordinato il cavalletto ma quel benedetto falegname non me l’ha ancora consegnato. In queste ultime ore sono migliorato e devo lavorare prima della prossima primavera. Io temo la primavera più di ogni altra stagione. Con la bella stagione la linfa corre dentro il tronco e dilata la ferita e io non respiro più e comincio a tossire. Maggio soprattutto è crudele, con quelle fioriture bianche di narcisi.

Spero di essere ancora vivo nei prossimi mesi. Forse la ferita si fermerà e io guarirò e con un terzo di polmone potrò ancora combinare qualcosa. Se questo avvenisse – te lo giuro Falqui -, la mia pittura non avrebbe più nulla di contorto, con quei paesaggi massacrati e gli alberi che vomitano verde da ogni parte, e il rosso dei corpi. Non dipingerei più a rotta di collo ma disegnerei. Grandi figure bianche, nere e vive.

Un uomo nudo cammina.

È bianco come un albero senza corteccia

e4 tutte le cose create vogliono toccarlo.

E lui taglierà gli alberi

dopo aver goduto della loro frescura

prenderà i pesci dal fiume,

gli uccelli che volano.

Ho molta ansia, Falqui. Temo che scrivere mi sia troppo faticoso e che poi dovrò pagare lo sforzo di questa lettera con uno sbocco di sangue. La vita mi sta sfuggendo e l’aria è così lontana che la mia bocca non riesce a raggiungerla. Ieri per esempio, ho passato una notte d’inferno e oggi sto benissimo, ristorato, rinfrescato e la poca aria che mi entra nei polmoni sembra una cascata impetuosa. Oh, se tutti gli uomini capissero che respirare è a volte una grazia impossibile!

Non mi rassegno a morire. Non avrebbe senso.

Mi sento abbacinato

Come un foglio bianco

Su cui picchi il sole.

Ma questo foglio ormai saranno gli altri a riempirlo con le loro parole. Non mi illudo.

Per cui mio Falqui, addio.

*Il testo è tratto da: Marco Ercolani, Carte false, Hestia edizioni, Milano 1999.

Immagini di Scipione

Scipione (Gino Bonichi, Macerata 1904 – Arco 1933) è noto sopratutto come pittore: la sua breve presenza a Roma alla fine degli anni venti costituisce uno dei momenti piú intensi del rinnovarsi della giovane arte figurativa in un momento di fruttuosi scambi fra pittura letteratura e critica. Sotto il titolo di Carte segrete sono stati raccolti, dopo la sua morte, pochi versi, pagine di prosa e di diario, lettere: quel materiale restituiva schegge liriche di singolare, decisa forza poetica, tali da garantirgli un ruolo non secondario nella poesia italiana del Novecento. Integrato da altri testi, sparsi via via in riviste e libri di scarsa diffusione, quel gruppo di frammenti, che in parte riproporremo in questo blog, mostra Scipione poeta dalla «grande forza panica», come dice Amelia Rosselli.

Lascia un commento