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Robert Walser
1. La Svizzera
Non sono degno di camminare per le vie di Parigi.
Nono degno della Francia e dei suoi artisti.
Non sono degno di sedermi al tavolo dove sedette Ezra Pound.
Non sono degno di Lisbona e della poesia di Pessoa.
Non sono degno di traversare la frontiera verso Sud o verso Ovest.
Come posso azzardarmi a traversare le vie dove dei geni hanno camminato?
[…]
Non sono degno di rasentare le ombre di Nerval, Baudelaire, Rimbaud.
Sono svizzero.
Un nuovo scrittore svizzero.
Cioè un niente che sa la sua insignficanza, il suo nulla.
[…]
So pulire il focolare dei camini.
Ho scritto un dramma, Cenerentola, e un poema in omaggio alla cenere innocente.
Amo la neve e le cosce bianche delle ragazze.
Amo eccessivamente il vino rosso che mi servono negli alberghi svizzeri.
Amo la mina grigia delle matite e i segni giovanili, dolci.
Ho scelto di sparire dal mio essere vivo. Sono svizzero e vergine.
Svizzero e vergine. Scrittore anche, fratello della follia di Soutter.
Non voglio una camera da solo, ho detto al direttore dell’istituto di Waldau.
Non sono degno di scrivere con inchiostro nero su belle pagine bianche.
Ho bisogno di quadretti di carta, etichette, pezzettini, rifiuti.
Mi convengono, a me che sono niente. O poco. Non inchiostro, non penna, non fogli ben intagliati.
Mi accontento con gioia di ciò che è abbandonato.
[…]
Mi ricordo del mio viaggio in mongolfiera dopo Berlino fino al Baltico come di un momento piuttosto matto.
Scrivere il meno possibile. Camminare il più possibile.
Bere con Seelig quando viene a farmi visita.
Non credere alle persone che parlano di me come di uno scrittore.
Io? Veramente?
Sono il nuovo e ultimo bambino della Letteratura Svizzera.
Con cosa rima essere in buona in salute, ditemi?
Non sono degno di lasciare questo asilo di aliienati.
La neve come la follia è un paese.
Sono degno di un territorio?
Silenzio.
Il sonno gentile allevierà la febbre del malato fino al suo prossimo Natale.
Dormono.
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Louis Soutter
La posizione di un letto in una camera modifica non soltanto il sonno del dormiente ma la sua qualità. Voglio parlare non solo della qualità del sonno di chi dorm, ma anche della qualità di chi dorme. Tutto, in questo paese, è legato.
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Camminare è l’attività che ci permette di respirare ma anche di disegnare. La sola. Che ci è spesso negata in nome della necessità di rinchiuderla, gente come noi.
Noi?
Lui.
Loro.
Nessuno qui sa chi siamo. Ancor meno da dove veniamo e dove andiamo. Perché noi poniamo domande che qualcuno giudica imbarazzanti.
Noi siamo là, semplicemente appoggiate contro il muro di questa sala, nude.
Molto spesso noi poniamo domande a cui non risponde nessuno. Lui, le mani imbrattate di nero, lui solo può risponderci perché saprà comprendere le nostre domande. Perché qui veniamo giudicati secondo il nostro capire il senso delle domande che formuliamo. Come noi, ci si è spogliati di abiti, costumi, camicie lussuose. Di un paese diverso da questo, in un paese che dicono costituito da stati riuniti in forma d’America.
Le mani giunte, completamente nudo, egli si esprime nel dipingere ciò che tutti qui chiamano inezie.
Non noi.
In quale momento cominciamo ad esistere?
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Traduzione di Marco Ercolani e Lucetta Frisa
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*I testi sono tratti da: Sylvie Durbec, Territori della follia, con disegni e incisioni di Valérie Crausaz, éditions Cousu Main, Carpentras 2008.
