TAALA. Sedicesimo quaderno, Nadine

Ma finora, dove credi che abbia vissuto? La mia era una casa vera, come immagino sia vera la tua. C’era un tetto, anche se basso. Una cucina e una stanza da letto. Una porta. Non chiudevo mai a chiave. Chi voleva venire veniva, entrava e usciva, in pieno giorno o a notte alta. Nessuno mi guardava. Riposavano per un istante nel mio letto. Compagni, sì. Tutti compagni occasionali. C’era chi abbracciavo per un istante, chi amavo per un’ora, chi passava la notte intera con me. Poi, il giorno dopo, ero di nuovo sola. Ma mi illudevo che, quando tutti avrebbero ricominciato a fuggire, rumorosamente, al sopraggiungere della notte, io fossi comunque, sempre, in qualsiasi momento, per loro, un minuto di sosta, un secondo di pace…

Non so cosa ti diranno i miei compagni. Sai, loro mentono sempre. Ma ascolta me: Taala è una città nera, una fogna, è il ghetto del deserto, il luogo dove tutto si ricicla e si trasforma, dove si lavora la plastica e il ferro, si vive in mezzo alla spazzatura, si ha paura anche dell’aria, si diventa scuri, sporchi e scuri per tutta la polvere che penetra le unghie e i capelli, e si pensa alla città alta, alla magnifica, nitida, superba città di vetro e di luce che si protende come una prua sopra il nero dei nostri tetti e che noi non abbiamo ancora mai visto.

Immagine di Pietro Casarini

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