«Respirare è la prima lezione» (M. Ercolani, Sindrome del ritorno, 2025)

**
…Per la prima volta non ho capito un tuo libro. Cioè: non sapevo se lo avevo scritto io, o tu, o tu per te, oppure tu per me… Ho scelto quella che credo sia la strada migliore: oltrepassare la questione lasciandola irrisolta, o meglio, lasciando la soluzione ovvia: è tuo, e quel mio «ma sempre qualcosa là dentro preferisce l”addiaccio”» (nel Paesaggio con viandanti, forse) è un terreno comune. Con le dovute differenze. E finalmente ti posso dire di trovare difficile, e anche un po’ respingente, il tema del ritorno, la stessa parola… proprio ora…
Ma devo uscire dal tuo libro, toglierci i piedi… Guardarlo. Anche se sì, il lettore deve «essere presente dentro ogni riga». Che poi è il vecchio attributo della poesia, alla Bonnefoy…
Una vita che non si sviluppa all’esterno in modo arioso si sviluppa all’interno, diventa forza trivellante, costante affondo nel proprio inconscio, bufera segreta, ombra, oscurità […]. L’io si abbandona a un’esperienza di soglia che nasce dal sonno della ragione e dal desiderio consapevole di essere fuori di sé, dentro una qualche estasi […]».
Ecco, no, fuori. Non dentro. Non più le ἔκστασις verso i nulla del religioso, della trascendenza, né quelli più biechi della vita. Non si può vivere al chiuso. Forse neanche nel nulla. Il lavoro su di sé non finisce mai, è vero – e ho omesso di citare la frase che viene prima ma che apprezzo tanto per la tua sincerità, «ma mi rifiuto di pensare che tutto si riduca a trauma» – bisogna poi uscire, se non uscirne.
Fuori. Andare.
Respirare non è solo la prima lezione, è l’essenziale. Me ne sono accorto di colpo. Sto cercando di imparare a respirare. Poi, forse, a vivere.
«Arrivi a casa: ma quale casa? Non lo sai. Tu soffri della sindrome del ritorno, che ti rende eternamente passeggero dei luoghi». No, non è una sindrome, tanto meno una malattia. Non passeggeri. In cammino.
