ODISSEA PSICHICA. Mauro Macario

Caro Marco,

ho letto il tuo libro [Sindrome del ritorno]. Non intendo fingermi critico letterario, non lo sono. Stanotte, mi urge semplicemente dirti cose che sento, che mi sono salite su, e sappi che sono cosciente di poter sbagliare, dire banalità, o esprimere opinioni che tu hai già avuto da voci di certo più autorevoli di me. In questo tuo mondo impalpabile, attraversato da ombre, sarò veritiero e concreto. Io percepisco – magari erroneamente – che ogni tuo libro è solo un capitolo e nel successivo è il secondo e così via. I legami tra uno e l’altro, se pur mimetizzati, appartengono a un solo cordone ombelicale mai spezzato. Tutta le tua opera è una sola opera definibile come: L’ODISSEA PSICHICA. Tu sei Ulisse tra i folli, i malati, gli infelici, le ombre, ammaliato e forse ingannato da queste sirene. E, quando inventi sugli altri, è ancora il viaggio infinito, senza approdo, che continui dentro te stesso. Ti cerchi negli altri, li vai a trovare, a scovare e a scavare. La tua è una autoanalisi che, per strategia, scarichi su questi “altri”. Dunque la tua opera è verticale, un’apnea impossibile nella Fossa delle Marianne. E si manifesta, come dimostri, con un flusso inestinguibile che non puoi interrompere, pena l’annegamento.

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