
Eugène Boudin Étude de nuages, ciel bleu.
1. A titolo di esordio, si può ricordare una significativa osservazione di Walter Beniamin: «Quando lo struggente desiderio dell’uomo di un’esistenza più pura, più innocente e spirituale di quella che gli è toccata è andato in cerca di un pegno di quest’esistenza, lo ha per lo più trovato in qualche pianta o animale. Non è quel che accade in Baudelaire. Il suo sogno di una tale esistenza rifiuta la comunione con qualsiasi natura terrena e vagheggia le nuvole»1. È vero che il poeta ama anche «l’azzurro del cielo immenso e tondo», ma a volte sembra trovare irritante quella distesa tersa e uniforme, sicché giunge ad affermare: «La profondità del cielo mi costerna; la sua limpidezza mi esaspera»2. Dunque non è improprio affermare che la sua maggiore ammirazione si rivolge piuttosto alle nuvole: esse, col loro biancore e la loro mutevolezza, gli appaiono come qualcosa di puro, di esente da ogni contatto col fango terrestre.
Di ciò si trova conferma in Les Fleurs du Mal, raccolta in cui già i primi componimenti evidenziano l’intimità di Baudelaire con quel particolare aspetto della volta celeste che è costituito dalle nuvole. Così, in Bénédiction, il fanciullo destinato a diventare poeta, ancorché sia oggetto di scherno da parte delle altre persone, non sembra nemmeno avvedersene: «Sotto la tutela invisibile di un Angelo, / il Bimbo diseredato s’inebria di sole, // […] gioca con il vento, parla con la nuvola»3. Più tardi la sua vocazione diverrà manifesta, ed egli potrà sentirsi simile all’albatro, uccello marino che, quando è in volo sopra le onde, le domina dall’alto: «Il Poeta è simile al principe delle nubi / che bazzica la tempesta e se la ride dell’arciere»4. Allora il suo spirito potrà innalzarsi persino al di sopra «delle nuvole, dei mari, / al di là del sole, oltre gli spazi eterei, / al di là dei confini delle sfere stellate», lasciando dietro di sé «gli affanni e le vaste pene / che gravano opprimenti sull’esistenza brumosa»5.
Senza nulla togliere alla bellezza di questi e altri testi consimili, va detto che uno dei meriti di Baudelaire, che gli hanno permesso di assurgere al ruolo di capostipite della lirica moderna, consiste nel fatto di essersi reso conto che una visione troppo idealizzata della figura del poeta era ormai divenuta insostenibile. Già in un saggio del 1852, egli non esitava a polemizzare, pur senza nominarli, con scrittori come Gautier e Banville (che pure ammirava, e che saranno fra i suoi migliori amici), rimproverando loro, in maniera sarcastica, la propensione a ispirarsi alla cultura greca e latina. Si rivolgeva dunque a quei «neopagani» dicendo: «Avete senz’altro perso la vostra anima da qualche parte, in qualche brutto posto, se correte così attraverso il passato, come dei corpi vuoti, per raccoglierne una d’occasione fra i detriti antichi […]. Tutte quelle statue di marmo saranno per voi donne devote nei giorni dell’agonia, del rimorso, dell’impotenza? Bevete forse brodi di ambrosia? Mangiate cotolette di Paro? Quanto vi danno per una lira al Monte di Pietà?»6.
Un poeta ottocentesco non può più fingere di credere a idee che si perdono nella notte dei tempi, ma dev’essere consapevole di vivere nella metropoli moderna, con tutto ciò che di buono e di cattivo tale situazione comporta7. Ciò significa fra l’altro che lo scrittore è divenuto un produttore di merci, per quanto particolari. Se vorrà e saprà andare incontro alle richieste del pubblico, raggiungerà forse la notorietà, e talvolta perfino una certa agiatezza economica. Ma se, come Baudelaire, sosterrà idee controcorrente (senza mai accettare di edulcorarle) e adotterà uno stile di scrittura raffinato e innovativo, dovrà lottare ostinatamente per riuscire a vendere i propri testi a direttori di giornali e a editori di libri, riuscendo a farsi apprezzare solo da una ristretta cerchia di letterati. Quando pubblicherà il proprio capolavoro, dovrà affrontare un processo per immoralità, e per tutta la vita si ritroverà a cercare di eludere, con scarso successo, le incessanti richieste dei creditori. Rammentiamo ciò al solo scopo di far comprendere che per Baudelaire evocare, in versi e in prosa, l’immagine delle nuvole significa innanzitutto esprimere il desiderio di evadere da una realtà quotidiana da lui percepita come soffocante.
Nelle sue liriche, le nubi hanno anche la proprietà di cambiare colore, quando «un sole al tramonto in un cielo nuvoloso» riesce a trasformare quest’ultimo, e «fa sorgere più di un portico favoloso, / nell’oro del suo rosso vapore»8. Ciò richiede per l’appunto che il cielo non sia limpido, bensì velato dalle nubi, e sono specialmente «i soli delle stagioni brumose» a produrre tale effetto, sicché diviene possibile esclamare: «Come risplendi, umido paesaggio infiammato / dai raggi che piovono da un cielo annuvolato!»9. Analogamente, rivolgendosi all’amata e ipotizzando di compiere con lei un viaggio in Olanda, il poeta dice: «I soli bagnati / di quei cieli nuvolosi / hanno per il mio spirito gl’incanti / così misteriosi / dei tuoi occhi infidi / che brillano tra le lacrime»10.
Se però le nubi si scuriscono e giungono a coprire l’intera volta celeste, allora il loro significato cambia radicalmente, ed esse divengono l’immagine di una profonda tristezza. Ciò accade «quando il cielo basso e greve pesa come un coperchio / sullo spirito che geme, preda d’un tedio ininterrotto, / e dell’orizzonte abbracciando tutto il cerchio / dispensa un giorno nero più triste della notte»11. L’immagine del coperchio si presta bene a indicare il senso di angoscia, di mancanza di vie d’uscita, che caratterizza la condizione del malinconico. Nei momenti in cui l’animo è incupito, infatti, neppure il cielo resta intatto e finisce anzi con l’associarsi ad immagini funeree: «Nel sudario delle nuvole // scopro un cadavere caro, / e sulle rive celesti / elevo grandi sarcofagi», e ancora, nella poesia successiva: «Cieli dilaniati come greti, / […] le vostre grandi nuvole in lutto / sono dei miei sogni i carri funebri»12.
Ma c’è persino qualcosa di peggio: in La Béatrice, il poeta ha sopra di sé una nube nera popolata da demoni viziosi che lo sbeffeggiano, e in essa scorge anche l’amata, che ride assieme a quegli esseri diabolici e li accarezza in maniera lasciva13. In una celebre lirica, Goethe credeva di poter ravvisare in cielo la vaga immagine della donna del suo cuore: «Lieve e leggiadra, soffice e chiara, / Serafica, da un coro di grevi nuvole / S’alza simile a lei lassù nell’etere blu / Slanciata una figura di tenue vapore; / Così la vedesti vorticar gaia nella danza, / La più amorevole delle amorevoli figure»14. In La Béatrice, all’opposto, il poeta distingue con chiarezza l’amata nella nube, ma ciò provoca in lui soltanto orrore. In questo caso, come afferma Benjamin, «la profanazione delle nuvole è la più terribile»15.
Si torna a più miti pensieri in Le Voyage, componimento posto a conclusione di Les Fleurs du Mal. In esso Baudelaire celebra i veri viaggiatori, quelli che partono senza particolari motivi, solo per il gusto di partire, «quelli i cui desideri hanno la forma delle nuvole, / e sognano […] / voluttà vaste, multiformi, sconosciute, / di cui la mente umana ignora il nome»16. A un certo punto, il poeta immagina di cedere la parola a costoro, uomini che hanno trascorso gran parte della vita viaggiando nelle più diverse contrade del mondo. Essi però, a sorpresa, sostengono di avere, più ancora dei luoghi naturali o urbani che hanno potuto vedere, ammirato le nuvole: «La gloria del sole sopra il mare violetto, / la gloria delle città nel sole al tramonto, / ci accendevano in cuore un ardore inquieto / di tuffarci in un cielo dal riflesso allettante. // Le più ricche città, i più grandiosi paesaggi, / per noi non contenevano il fascinoso mistero / di quelli che compone con le nuvole il caso»17. La contemplazione delle nubi, eccelse e quasi immateriali, risulta dunque preferibile a quella di ogni realtà terrestre.
2. Anche nei poèmes en prose di Le Spleen de Paris le nuvole fanno significative apparizioni. Ciò vale già per il primo dei testi inclusi nella raccolta, L’Étranger18. In esso, qualcuno interroga un «uomo enigmatico», chiedendogli chi ami in particolare, ma riceve risposte diverse da quelle che si aspettava: lo straniero, infatti, dichiara di non avere famiglia né amici e di ignorare dove sia la sua patria. Sempre incalzato dai quesiti, aggiunge che amerebbe la bellezza solo se fosse una divinità immortale, e che a suo giudizio la ricchezza merita di essere odiata. Fin qui il tema è quello, caro al romanticismo, della solitudine del poeta, che non riesce a trovare i propri simili nella società in cui vive. Tema condiviso da Baudelaire, che non a caso scriveva alla propria madre: «Mi sento come straniero al mondo»19. Sia per le risposte fornite dal personaggio che per la struttura stessa del minuscolo brano (in cui le voci dei due interlocutori si alternano in maniera rapidissima), il testo fa pensare al passo analogo che si legge in una novella di Pétrus Borel, Passereau, l’écolier20. Tuttavia il finale del testo baudelairiano è assai più originale: «– Eh, ma allora cosa ami, straordinario straniero? – Amo le nuvole… le nuvole che passano… laggiù… laggiù… le meravigliose nuvole!»21.
Anche lo scenario montano che figura all’inizio di Le Gâteau riserva ampio spazio alle nubi. Il poeta riattiva qui ricordi della propria giovinezza, e descrive il luogo in cui si trovava allora, un maestoso paesaggio che gli ispirava piacevoli riflessioni: «I miei pensieri volteggiavano leggeri come l’atmosfera; le passioni volgari, come l’odio e l’amore profano, mi apparivano remote come le nuvole […]; la mia anima mi sembrava vasta e pura come la cupola del cielo da cui ero avvolto […]. Sul piccolo lago immobile, nero per la sua immensa profondità, passava a volte l’ombra di una nuvola, come il riflesso del manto di un gigante aereo in volo attraverso il cielo. E ricordo che quella sensazione rara e solenne, causata da un grande movimento perfettamente silenzioso, mi riempiva di una gioia mista a timore»22. Si tratta di immagini che Baudelaire aveva già usato nel più antico dei suoi componimenti in versi, scritto quand’era un diciassettenne in viaggio nei Pirenei: «Proprio lassù, lontano dalla strada sicura, / dalle fattorie, dalle valli, oltre i pendii, / oltre le foreste e i tappeti erbosi, / lungi dagli ultimi prati calpestati dagli armenti, // si incontra un lago scuro incassato nell’abisso / che formano alcuni picchi desolati e nevosi […]. // Sotto i miei piedi, sopra il capo e ovunque, / quel silenzio che fa sì che vorremmo fuggire, / il silenzio eterno e la montagna immensa, / poiché l’aria è immota e tutto sembra sognare. […] // E quando per caso una nuvola errante / nel suo volo incupisce il lago silenzioso, / parrebbe di vedere la veste o l’ombra trasparente / di uno spirito che viaggia e passa nei cieli»23.
Il poème en prose dal titolo Les Vocations mette in scena quattro ragazzini che, stanchi di giocare, si mettono a narrare esperienze personali che li hanno colpiti, esperienze che, senza che loro lo sospettino, prefigurano forse quello che sarà il loro futuro. L’uno è rimasto affascinato da uno spettacolo teatrale, un altro dalle nuvole, un terzo dal contatto con un corpo femminile e l’ultimo dall’incontro con tre musicanti girovaghi. Ci interessa in particolare il secondo ragazzo, il quale osserva fissamente le nubi e in una di esse crede di ravvisare l’immagine di Dio. Si rivolge dunque agli amici dicendo: «Guardate, guardate laggiù…! Lo vedete? È seduto su quella piccola nuvola isolata, quella piccola nuvola color fiamma, che se ne va dolcemente. Si direbbe che anche Lui ci guardi»24. I suoi compagni non scorgono nulla nella nube che egli addita, anzi uno di essi lo sbeffeggia per la sua ingenuità: «Ma che bestione, quello lì, col suo buon Dio che vede solo lui»25. Volendo, si potrebbe mostrare che anche in questo testo Baudelaire ha fatto ricorso a proprie impressioni lontane nel tempo, che hanno lasciato svariate tracce nelle sue opere. Ciò vale pure riguardo al ragazzino dalle fissazioni religiose. Si rammenti in proposito ciò che il poeta dice di sé in un’annotazione di Mon cœur mis à nu: «Fin dall’infanzia, tendenza al misticismo. Mie conversazioni con Dio»26.
In Le Port, conviene non farsi sfuggire un rapido accenno alla «mobile architettura delle nuvole»27. L’espressione è bizzarra, sia per il suo carattere ossimorico (i prodotti dell’architettura sono caratterizzati dalla stabilità, che è il contrario della mobilità), sia in quanto la nuvola, diversamente degli edifici terrestri, non presenta mai contorni definiti. Tuttavia il poeta è affezionato a questa immagine, che utilizza anche altrove. Così in Les Paradis artificiels, parlando delle visioni che Thomas De Quincey aveva quand’era sotto l’effetto dell’oppio, Baudelaire scrive: «Sorprendenti e mostruose architetture si ergevano nel suo cervello, simili a quelle mobili costruzioni che l’occhio del poeta scorge nelle nuvole colorate dal sole al tramonto»28.
Ma al riguardo c’è un ultimo brano di Le Spleen de Paris da tener presente, La Soupe et les Nuages. Data la sua brevità, possiamo citarlo per intero: «La mia piccola folle beneamata mi serviva la cena, e dalla finestra aperta della sala da pranzo io contemplavo le mobili architetture che Dio costruisce con i vapori, i meravigliosi edifici dell’impalpabile – e immerso nella mia visione mi dicevo: “Tutte queste fantasmagorie sono belle quasi come i grandi occhi della mia beneamata, il piccolo folle mostro dagli occhi verdi”. E all’improvviso ricevetti un violento pugno nella schiena, e sentii una voce rauca e fascinosa, una voce isterica e come arrochita dall’acquavite, la voce della mia cara piccola beneamata che diceva: “Quando ti deciderai a mangiare la tua zuppa, maledetto diavolo di un mercante di nuvole?”»29. Baudelaire dà prova qui della sua capacità di osservarsi dall’esterno: si mostra infatti dapprima distratto (ossia, come appunto recita una locuzione di uso comune, «con la testa fra le nuvole») e poi richiamato bruscamente alla realtà dalla sua capricciosa e irritabile amica.
Il testo trae origine da un episodio reale, come dimostra un foglio su cui il poeta ha incollato un ritratto, da lui stesso eseguito, di Berthe (la donna di cui si parla nel brano), corredandolo con due annotazioni. Nella prima si legge: «Siccome, durante il pranzo, io guardavo le nuvole attraverso la finestra aperta, lei mi disse: Quando ti deciderai a mangiare la tua zuppa, dannato mercante di nuvole?», mentre la seconda è la dedica «a un’orribile piccola folle, ricordo di un grande folle che cercava una ragazza da adottare, senza aver studiato né il carattere di Berthe né la legge sull’adozione. / Bruxelles. 1864»30. Di questa Berthe sappiamo pochissimo, ma doveva essere una figura importante per Baudelaire, visto che egli l’ha evocata anche in una poesia e in un altro dei poèmes en prose31. Per concludere, possiamo dire che, in La Soupe et les Nuages, il poeta ha scelto di rappresentarsi, in maniera autoironica, nelle buffe vesti dell’acchiappanuvole.
3. Fra le molte qualità di Baudelaire, c’è sicuramente anche quella di essere stato un grande critico d’arte. Non poteva dunque sfuggirgli il fatto che da sempre le nubi sono presenti nei quadri dei pittori, sia pure assumendo, a seconda delle epoche e dello stile individuale, forme e funzioni differenti32. Così, in un paragrafo del Salon de 1846 dedicato al colore in pittura, egli osserva che spesso «l’azzurro, cioè il cielo, è attraversato da lievi bioccoli bianchi o da masse grige che imbevono felicemente la sua spenta crudezza»33. Poi indica un primo esempio di trattamento originale del cielo nei dipinti del suo artista prediletto, Eugène Delacroix. Commentando l’affresco che decora il soffitto circolare della biblioteca del Luxembourg, il poeta scrive: «Il cielo è azzurro e bianco, cosa sorprendente in Delacroix; le nuvole, stemperate e tratte in diverse direzioni come un velo che si lacera, sono di una grande levità, e la volta dell’azzurro, profonda e colma di luce, fugge a una prodigiosa altezza»34. In effetti, nelle opere di questo artista compaiono con maggiore frequenza i cieli scuri, nei quali le nubi perdono il loro candore per assumere tinte più fosche, anche allo scopo di accentuare la drammaticità delle scene rappresentate35. Agli occhi di Baudelaire, Delacroix resterà sempre «il più suggestivo di tutti i pittori, quello le cui opere, quand’anche fossero scelte tra le secondarie e minori, fanno riflettere di più, richiamando alla memoria il maggior numero di sentimenti e di pensieri poetici»36.
Tuttavia è stato un altro artista, meno noto, a ispirargli le sue più belle frasi sul tema delle nuvole: si tratta di Eugène Boudin. Nato nel 1824 a Honfleur, nell’infanzia fa per qualche tempo il mozzo su un battello a vapore. Più tardi apre una bottega di cartolaio e corniciaio, cosa che gli permette di entrare in contatto con vari pittori. Incoraggiato da loro, abbandona il commercio per dedicarsi alla carriera artistica. I suoi lavori vengono apprezzati, sicché nel 1851 ottiene dal consiglio municipale di Le Havre un contributo economico per recarsi a Parigi, dove può studiare la pittura e perfezionare le proprie doti. In seguito alterna i soggiorni parigini a quelli in varie località della Normandia e della Bretagna, nelle quali esegue quadri di paesaggio, lavorando non in studio ma en plein air. Sostiene infatti: «Tutto ciò che viene dipinto direttamente e sul posto ha sempre una forza, una potenza, una vivacità di tocco che non si ritrovano più nell’atelier»37. Egli trasmette questa pratica a Claude Monet, allora poco più che ventenne; divenuto adulto, Monet non mancherà di dichiararsi riconoscente38. La prima esposizione personale di Boudin si tiene a Parigi nel 1857. Qualche anno dopo egli inizia a raffigurare paesaggi (con piccole figure, perlopiù dame eleganti) ambientati sulle spiagge di Trouville e Deauville. Nel 1874 partecipa alla prima mostra degli impressionisti, pittori che lo considerano come un loro precursore. Muore a Deauville nel 1898. L’importanza riservata nei suoi dipinti al sole, alle nuvole e più in generale agli effetti atmosferici gli ha fatto meritare, da parte del grande paesaggista Camille Corot, il lusinghiero epiteto di «re dei cieli»39.
Nel 1959, Gustave Courbet ha da poco conosciuto Boudin, di cui ammira le marine. Un giorno i due, mentre sono a passeggio nel porto di Le Havre assieme a un altro pittore, Alexandre Schanne, incontrano Baudelaire e trascorrono con lui la giornata. «Courbet non mancò di esprimere ammirazione per i dipinti di Boudin, soprattutto per i cieli, e Baudelaire non solo andò a vederli nella modesta abitazione dell’artista, ma immediatamente aggiunse alla sua recensione del Salon del 1859 una notizia dell’ultimo momento, dedicando ai pastelli di Boudin una pagina di lodi e di interpretazioni poetiche»40. Nel passo a cui si allude, Baudelaire inizia deplorando la mancanza d’immaginazione dei pittori paesaggisti, che pigramente si accontentano di copiare il visibile, e aggiunge: «Se, come è capitato a me di recente, avessero visto da Boudin, che, detto per inciso, ha esposto un ottimo e assennatissimo quadro (il Pardon de sainte Anne Palud), diverse centinaia di studi a pastello improvvisati di fronte al mare e al cielo, capirebbero, cosa che non sembrano comprendere, la differenza che separa uno studio da un quadro. Ma Boudin, che pure potrebbe inorgoglirsi della propria devozione alla sua arte, esibisce con grande modestia la sua curiosa collezione. Sa bene che tutto questo deve diventare quadro tramite l’impressione poetica richiamata a volontà, e non pretende di spacciare per quadri i suoi appunti. In seguito, senza alcun dubbio, ci farà vedere in dipinti compiuti le prodigiose magie dell’aria e dell’acqua»41.
Già il quadro esposto al Salon e a cui il poeta accenna, Le Pardon de Sainte-Anne-la-Palud au fond de la baie de Douarnenez (Finistère), pur mostrando in primo piano una folla di personaggi, è impreziosito da un bel cielo azzurro con nubi42. Infatti, anche quando dipinge figure umane sulla spiaggia, piccole barche oppure grandi navi a vela, Boudin riserva sempre la parte alta dei suoi quadri alla raffigurazione del cielo con nuvole. Ma a Baudelaire interessano in special modo i lavori, eseguiti su carta con tecniche diverse (non soltanto a pastello, ma anche ad acquerello e a olio) in cui il cielo svolge un ruolo da protagonista43. «Questi singolari studi, così rapidamente e fedelmente schizzati a partire da ciò che vi è di più incostante, di più inafferrabile nella forma e nel colore, ossia le onde e le nuvole, recano sempre, segnati in margine, la data l’ora e il vento; così, per esempio: 8 ottobre, mezzogiorno, vento di nord-ovest. Se avete avuto qualche volta occasione di fare conoscenza con quelle bellezze meteorologiche, potrete verificare con la vostra memoria l’esattezza delle osservazioni di Boudin»44.
Ed ecco infine l’annunciato passo sulle nuvole: «Tutte quelle nubi dalle forme fantastiche e luminose, quelle tenebre caotiche, quelle immensità verdi e rosa, sospese e aggiunte le une alle altre, quelle fornaci spalancate, quei firmamenti di raso nero o violaceo, sgualcito, arrotolato o squarciato, quegli orizzonti in lutto o grondanti metallo fuso, tutte quelle profondità, quegli splendori, mi salirono al cervello come una bevanda inebriante o come l’eloquenza dell’oppio. Cosa piuttosto curiosa, non mi capitò una sola volta, davanti a quelle distese liquide o aeree, di lamentarmi per l’assenza dell’uomo. Ma mi guardo bene dal trarre dalla pienezza del mio godimento un consiglio per chiunque, neanche per Boudin»45. Quest’ultimo, in ogni caso, non ha mai rinunciato a celebrare con la sua arte i «belli e grandi cieli tutti tormentati da nuvole, turbati da colori, profondi, entusiasmanti»46. Ma, come abbiamo potuto vedere, Baudelaire si è comportato allo stesso modo, e con analoga passione, nei suoi versi e prose.
1 W. Benjamin, Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell’età del capitalismo avanzato, tr. it. Vicenza, Neri Pozza, 2012, p. 88.
2 Le citazioni sono tratte rispettivamente da La Chevelure, in Les Fleurs du Mal (1861), in Œuvres complètes, Paris, Gallimard, 2024 (= Œ. C.), vol. II, p. 25 (tr. it. La chioma, in I fiori del male, Milano, Rizzoli, 1980; 2001, p. 111) e Le «Confiteor» de l’artiste, in Atelier du «Spleen de Paris» (1855-66), in Œ. C., vol. II, p. 846 (tr. it. Il «confiteor» dell’artista, in Lo Spleen di Parigi, in Opere, Milano, Mondadori, 1996, p. 388; si avverte che i passi delle traduzioni italiane cui si rimanda vengono spesso citati con modifiche).
3 Bénédiction, in Les Fleurs du Mal, cit. pp. 7-8 (tr. it. Benedizione, in I fiori del male, cit., pp. 73-75).
4 L’Albatros, ivi, p. 10 (tr. it. L’albatro, p. 79).
5 Élévation, ivi, p. 10 (tr. it. Elevazione, p. 79).
6 L’École païenne (1852), in Œ. C., vol. I, p. 470 (tr. it. La scuola pagana, in Saggi critici, Bologna, Pendragon, 2004, p. 31).
7 La compresenza, nell’autore delle Fleurs du Mal, di avversione e fascinazione nei riguardi della modernità viene esaminata in maniera persuasiva nel libro di Antoine Compagnon, Baudelaire. L’irréductible, Paris, Flammarion, 2014.
8 Le Poison, in Les Fleurs du Mal, cit. p. 46 (tr. it. Il veleno, in I fiori del male, cit., p. 153).
9 Ciel brouillé, ivi, p. 47 (tr. it. Cielo coperto, p. 155).
10 L’Invitation au voyage, ivi, p. 50 (tr. it. L’invito al viaggio, p. 161).
11 Spleen, ivi, p. 70 (tr. it. Spleen, p. 203).
12 Alchimie de la douleur, ivi, p. 72 (tr. it. Alchimia del dolore, p. 207) e Horreur sympathique, ivi, p. 73 (tr. it. Simpatia dell’orrore, pp. 207-209).
13 Cfr. La Béatrice, ivi, pp. 109-110 (tr. it. La Beatrice, pp. 291-293).
14 Johann Wolfgang Goethe, Elegia (1825), in La forma delle nuvole e altri saggi di meteorologia, tr. it. Milano, Archinto, 2000, p. 7.
15 W. Benjamin, op. cit., p. 88.
16 Le Voyage, in Les Fleurs du Mal, cit., p. 122 (tr. it. Il Viaggio, in I fiori del male, cit., p. 323).
17 Ivi, p. 123 (tr. it. p. 325).
18 Cfr. L’Étranger, in Atelier du «Spleen de Paris», in Œ. C., vol. II, pp. 844-845 (tr. it. Lo straniero, in Lo Spleen di Parigi, in Opere, cit., p. 387).
19 C. Baudelaire, lettera alla madre (Caroline Dufaÿs) del 5 giugno 1863, in Correspondance, Paris, Gallimard, 1973, vol. II, p. 305 (tr. it. in Il vulcano malato. Lettere 1832-1866, Roma, Fazi, 2007, p. 312). In questo caso la parola étranger si potrebbe anche tradurre con «estraneo», ma il senso muterebbe poco.
20 Cfr. P. Borel, Passereau, l’écolier, in Champavert. Contes immoraux, Paris, Renduel, 1833, pp. 344-345 (tr. it. Passereau, lo scolaro, in Racconti immorali, Milano, SugarCo, 1989, p. 203).
21 L’Étranger, cit., p. 845 (tr. it. p. 387).
22 Le Gâteau, ivi, p. 863 (tr. it. Il dolce, p. 407).
23 Tout là-haut, tout là-haut, loin de la route sûre (1838), in Œ. C., vol. I, pp. 12-13. Il lago di cui si parla dovrebbe essere il Lac dets Coubous, situato al di sopra di Barèges (cfr. Claude Pichois – Jean Ziegler, Charles Baudelaire, Paris, Fayard, 1996; nuova edizione riveduta, ivi, 2005, p. 132).
24 Les Vocations, in Atelier du «Spleen de Paris», cit., p. 902 (tr. it. Le vocazioni, in Lo Spleen di Parigi, cit., p. 442).
25 Ibidem (tr. it. p. 443).
26 Mon cœur mis à nu (1862-65), in Œ. C., vol. II, p. 510 (tr. it. Il mio cuore messo a nudo, in Opere, cit., p. 1446).
27 Le Port, in Atelier du «Spleen de Paris», cit. p. 913 (tr. it. Il porto, in Lo Spleen di Parigi, cit., p. 454).
28 Les Paradis artificiels. Opium et haschisch (1860), in Œ. C., I, p. 1125 (tr. it. I paradisi artificiali, in Opere, cit., p. 643).
29 La Soupe et les Nuages, in Atelier du «Spleen de Paris», cit., pp. 918-919 (tr. it. La zuppa e le nuvole, in Lo Spleen di Parigi, cit., p. 460).
30 Il foglio col ritratto è visibile in C. Baudelaire, La Passion des images. Œuvres choisies, Paris, Gallimard, 2021, p. 1369 e in Stéphane Guégan, Album Charles Baudelaire, Paris, Gallimard, 2024, p. 210.
31 Cfr. C. Pichois – J. Ziegler, op. cit., pp. 554-555. I due testi a cui facciamo riferimento sono Les Yeux de Berthe, in Les Épaves (1866), in Œ. C., vol. II, p. 803 (tr. it. Gli occhi di Berthe, in I relitti, in appendice a I fiori del male, cit., p. 365) e [Les Bienfaits de la lune], in Atelier du «Spleen de Paris», cit., pp. 910-911 (tr. it. I doni della luna, in Lo Spleen di Parigi, cit., pp. 450-451). Oltre a quello già ricordato, esiste un altro ritratto baudelairiano di Berthe, riprodotto in La Passion des images, cit., p. 1259.
32 È quel che mostra un libro di Hubert Damisch, Théorie du /nuage/. Pour une histoire de la peinture, Paris, Éditions du Seuil, 1972. L’autore precisa che nel corso del volume, e a cominciare dal titolo, il vocabolo nuage «si inscriverà fra due barre oblique […] ogni volta che l’analisi richiederà che venga indicato in posizione di significante» (ivi, p. 27).
33 Salon de 1846, in Œ. C., vol. I, p. 234 (tr. it. Salon del 1846, in Opere, cit., p. 1017).
34 Ivi, p. 249 (tr. it. p. 1036).
35 Cfr. L’opera pittorica completa di Delacroix, a cura di Luigina Rossi Bortolatto, Milano, Rizzoli, 1972.
36 Au rédacteur, à propos d’Eugène Delacroix (1863), in Œ. C., vol. II, p. 389 (tr. it. L’opera e la vita di Eugène Delacroix, in Opere, cit., p. 1323).
37 E. Boudin, Carnets, in Sylvie Patin, Eugène Boudin, les ciels, «prodigieuses magies de l’air et de l’eau», Rouen, Éditions des Falaises, 2020, p. 22.
38 Scriverà infatti a Boudin il 22 agosto 1892: «Non ho dimenticato che siete stato voi, per primo, ad avermi insegnato a vedere e a comprendere» (frase riportata in S. Patin, op. cit., p. 10).
39 Cfr. ivi, p. 8.
40 John Rewald, La storia dell’impressionismo (1946; nuova edizione riveduta 1973), tr. it. Milano, Mondadori, 1976; 1991, pp. 42-43.
41 Salon de 1859, in Œ. C., vol. I, pp. 1004-1005 (tr. it. Salon del 1859, in Opere, cit., pp. 1251-1252).
42 Lo si veda in La Passion des images, cit., p. 630.
43 Oltre a quelli raccolti nel libro di Patin, altri esempi di lavori dell’artista incentrati sul tema del cielo sono in La Passion des images, cit., p. 1357 e in S. Guégan, op. cit., p. 171.
44 Salon de 1859, cit., p. 1005 (tr. it. p. 1252).
45 Ibidem.
46 E. Boudin, Carnets, in S. Patin, op. cit., p. 28.
