I testi sono tratti da: Elio Tavilla, La disisperanza, Interno Versi, Borgoricco 2025.

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Alcuni libri nascono fuori tempo, come La disisperanza di Elio Tavilla, eppure sono esatti, come se fossero sempre esistiti: “in alto dai balconi /spezzano il bucato/ la fuga si è interrotta quando/ tutte le vocali inerti hanno preso/ il duro posto dei plurali, neanche il tempo/ di farsi perdonare/ il piccolo disastro che fu l’adolescenza/ nel chiuso dei cortili”. Elio Tavilla ci racconta come la poesia, da sempre, sia disastro delle cose nelle parole: nulla è tranquillo, dopo che la parola poetica lo ha attraversata, meteorite che muta il corso del passato e del presente. Sì, certo, sembra che nulla sia accaduto, ma ascoltare una vera voce poetica smuove dentro di noi gli assetti conosciuti, le travi portanti, e ci porta dove non sapevamo di essere, nella nostra personale “Zona”, tarkowskiana, indicibile, di cui noi siamo e saremo gli stalkers: la zona nella quale arriviamo da una strada, infida, bagnata, insicura, minacciata, ma non sappiamo quando ripartire e per dove. La disisperanza è una speranza deformata, che dobbiamo trattenere fra le dita perché potrebbe sempre dileguare e lasciarci. Ma, finché non ci lascia, restiamo noi, mettiamo i versi uno dopo l’altro, per costruire qualcosa che non sappiamo: ma la prima intenzione è non tacere: “dire fare bruciare/ aprire bocca senza urlare, parlare/ dire cose prive d’importanza/ riderne e ferirne/ i passanti indifferenti// hai rotto il vetro per errore/ volevi solamente/ cercarvi dentro il sangue mentre/ quello, inerme, sboccava dai/ tuoi polsi, non volevi, non/ eri tu a piangerne la morte”. La parola di Tavilla è tragica e abita le cose, gli uomini, il pensiero: una tragedia non semplificata a narrazione, a conforto. Le storie, strette in una poesia etica, civile, intima, esplodono in segni di un dolore al quale non ci sarà mai rimedio: “quando disperdevansi nell’aere/ i fumi della discarica abusiva/ e i nostri cuori battevano all’unisono/ come merci impazzite sui quadranti/ delle borse valori, un unico sensato/ sibilo emetteva la folla respinta/ stipata nei macelli, non voglio/ rinascite e massacri ma un altro/ possibile futuro/ tenuto all’oscuro”. È di questo futuro segreto che si nutre il libro: “la mano che afferra/ e lascia/ trasparire/ la disperanza” è la mano che, nonostante “una fine del mondo annunciata e contraddetta” si slancia verso le viti, verso la terra, testimonia lo slancio irrinunciabile della creatura vivente, offesa, ma immersa dentro “l’interiore visione dei miracoli”.
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sono l’uomo in meno, creo conflitti
tendo trappole celesti e poi le sfascio
sotto uno strato umido di muschio
mi nascondo, mi faccio compagnia
con le canzoni che mormoro a memoria
faccio piano, c’è la città che dorme
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non sai che fartene del corpo
che aggiri tra le cose familiari
senza pena ma pure senza scopo
alcuno, mentre volti le spalle
a chi sai, sai farti giustizia
in piena solitudine, coerente
col mondo dei tuoi avi quando sogni
siano esistiti. Punti i gomiti
sul tavolo e a ragione
esibisci la parte migliore di te
quando squadri il portento che fai
giungendo le mani in preghiera
*
cosa c’era di strano? Quando
si alzava in piedi i segni zodiacali
parevano impazzire eppure
non era che un miraggio
di duro inverno, fingeva
la neve di nevicare, il gelo
di spaccare il gelo dei travasi
sotto le ringhiere. A un metro
c’era l’uomo che mancava
la manovra giusta
e ci moriva
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Elio Tavilla (Messina, 1957). In poesia ha scritto: 24 poesie, Il cubo e l’assenza, Concetti semplici, Piccola antologia, L’amore di due, La cometa, La gravità terrestre. È stato fondatore e redattore di Gli immediati dintorni. Rassegna di poesia contemporanea, di Frontiera. Rivista di scritture contemporanee e di Radio Frontiera. Audiorivista di voci e scritture.
