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“Liberami della supplica
fino al lampo che affoga,
disciplina del poco
i tizzoni del costato”.
Cito la prima poesia del libro come si racconta una prima esplosione, la prima scheggia che violenta spacca i tessuti della carne di un uomo: essere poeta è la conseguenza di questo strazio. A Marià il compito, il dovere, di scrutare là dove non sarebbe possibile guardare, e lo scrivente non distoglie lo sguardo, non torna indietro. Si fa rapire da quelli che lui chiama i “suoi scarabocchi”, da sequenze che raccontano gli orrori segreti, trovando la bellezza in lividi nodi di parole dove sarebbe arbitrario distinguere aggettivi, nomi, sintassi. Il lettore è obbligato a percorrere il libro come un roveto che occasionalmente si trasforma in roseto. “Questo grande poeta molla tutto in cambio della parola giusta” – scrivono i fratelli D’Innocenzo in prefazione. E Marià, nella dedica del libro, scrive: Per gli incompleti, per gli incompiuti… Non potrebbe essere che così. Questi lampi di versi, costellazioni di estasi e di terrori, non si iscrivono in nessuna categoria della poesia contemporanea: sono, come nel cinema di David Lynch, immagini che marchiano a sangue la memoria vivente.
“Uccidermi insieme a te
per emulare “morte eroica”
la magrezza delle panchine,
il decidere di non lasciarci
in un dove tutto sarà perfetto
il senso di continuare,
fantastica esplosione,
la presenza del vuoto”.
(M.E.)
*Enrico Marià, Nuziale, Prefazione dei fratelli D’Innocenzo, La nave di Teseo, Noventa Padovana 2025.
