ILLUSIONE, ILLUSIONE…

Frammento di un’intervista a Luigi Pirandello (1 gennaio 1924).

Voi, signore, vorreste sapere in che modo la pazzia di mia moglie abbia influenzato la mia opera? Una domanda legittima da cui non posso scappare senza provare ad abbozzare almeno un brandello di risposta, che spero non oscura, non lambiccata. Sì, quella pazzia è la base della mia opera. È la dura realtà, il sasso di realtà da cui scaturisce tutto. Io, poi, ci ho messo i miei dilemmi intorno. Perché la follia non fosse solo questo non-essere, questo dolore senza ritorno, questo tormentoso autoscorticarsi, ma sempre ci si interrogasse, tutti, sani e meno sani, anche vanamente, sul suo senso, sui suoi sensi, ramificandosi. Antonietta è il sasso attorno al quale ho costruito le mie fitte, logorroiche foreste di parole: i miei libri, i dialoghi, il teatro, tutto. Con quelle parole e interiezioni e ansimi ho cercato di dipanare il nodo. Ci sono riuscito? Illusione, illusione… Mia moglie è dove è, immobile, in un asilo di semimorti. E io vago intorno al suo dolore, vago e parlo, parlo e vago, ma non mi allontano. I libri sono pezzi di pensieri, signore, capitemi, il mio linguaggio si affanna a seguire anse, spigoli, interruzioni, ma dove potrebbe placarsi… Sarebbe bello diventare un qualche re famoso e trasformare la mia sposa ammattita in principessa da onorare: sarebbe come un lungo sogno, una lampàra nell’oceano nero, una scia che salva, ma poi, quando ti risvegli, lì, nella vita, è peggio.

Con i drammi forse posso, a fatica, viverci in mezzo.

Grazie dell’intervista.

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