LETTERA A SAMUEL

1 gennaio 1971

È stato brutto incontrarti presto. Eravamo tutti e due troppo giovani. Tu tacevi e io dicevo cose prevedibili. Se ci fossimo incontrati dopo, quasi vecchi, negli anni settanta… Forse sarebbe stato lo stesso fallimento, ma mi piace pensare di no. Intanto, tua madre è morta e ora capisci qualcosa di più di te. O forse no. La follia può vestirsi di sintomi oppure spogliarsene di colpo, rivelandosi il nucleo incandescente della ragione.

Allora tu volevi solo tornare da lei, da quella fredda madre che non si curava delle cose che scrivevi. Io ti dissi di non farlo, tu disubbidisti. E alla fine non tornasti da me.

Abbiamo perso il nostro incontro. Allora ero giovane e pieno di pregiudizi: non dovevo prescriverti di lasciarla. Sono stato stupido e intempestivo, avei potuto suggerirti altre strade. Oblique strade, come quelle che hai tramato nel tuo teatro. Ma vedi, gli psicoanalisti sono ingenui, fragili, troppo sinceri. Temevo un tuo crollo devastante; volevo essere ragionevole anche per te ma tu lo fosti più di me, molto di più. E mi lasciasti solo.

Sei diventato famoso, mio caro, e io ho la fortuna di sapere cosa ti accade, almeno pubblicamente. Per tanti pazienti che lasciano il dottor Bion provo solo un senso di vuoto: non so più cosa ne è di loro, quale sia la loro vita. Non mi resta che fantasticare, aspettando chissà quale Godot.

Chi lavora con la psiche non deve stare ai bordi ma scivolare dentro l’altro e identificarsi con lui, essere quasi simile a lui ma con meno dolore, e poi, quando nasce la reciproca confidenza, offrirgli la cicatrice di una nuova ragione. Con te non ho saputo fare questo.

Tuo Wilfred

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