
Antonin Artaud
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Quando scrivo non distinguo più il pubblico dal privato, ciò che può essere letto e ciò che deve rimanere intimo. Sono stordito al riguardo. Per questo il flusso è la migliore forma di scrittura. Essere antiletterari nel senso in cui lo è l’Ulisse. Se decidi di scrivere una cosa per pubblicarla, qualcosa viene mortificato del dettato. Tradisci il tuo ka. Io non scrivo più per riviste e scrivo pochissime prefazioni (ma troncherò) perché sono tutto di Dio, non so sottrarmi al dio, non più, e tra l’altro penso che non ne valga la pena visto l’andazzo della società letteraria. La gente che scrive è così diversa dai contadini. Eppure né l’uno né l’altro uguaglia la firma umana che più amo: la santità.
…Oggi l’angoscia mi ha sotterrato. Sono a letto. Ho spento tutto. Il silenzio interiore è orientale. Le letture che faccio spingono alla riflessione. Jaynes, a parte lo stile un po’ impastoiato, è ricco di notizie, una interessante teoria, le voci degli schizofrenici come ipostasi preconosce come Gilgamesh e gli eroi omerici. Studio l’aurora dell’io, della mente cosciente soggettiva. Spero domani sia migliore. Certo, ho sbagliato tutto. È un peso. Ma hanno fatto in modo, le persone, che questo avvenisse, che io mi perdessi.
…Bisogna imparare a non far sanguinare la ferita narcisistica, qualunque cosa accadrà. Dice belle cose Jaynes Mi sono commosso. Sono giorni duri. Sento il calvario di dover essere presente anche se di fronte non c’è nessuno, solo “l’analogo io”, il calvario, appunto. Mi aggrappo ai libri. Leggendo Jaynes mi ci sono immerso. Libro di mole dostoevskijana. Parti scientifiche noiose, parti psicostoriche scorrevoli. Domani finisco. Poi rileggerò le parti evidenziate. Nessuno viene a trovarmi perché non ho amici. Sono come uno di quei personaggi famosi, fortunati si, ma distrutti, profondamente, per sempre, distrutti. La vita mi porta per mano verso il sole, e questo è il dono, ma io vedo l‘eclisse. Sole nero è l’altro nome della depressione.
…Volevo dirti che il 9 febbraio torno a scuola in veste di bibliotecario.
Spero di resistere.
…Oggi, leggendo Jaynes, ne ho dedotto che nel mio caso la scrittura è un prodotto dell’emisfero cerebrale destro e che l’emisfero cerebrale sinistro assolve solo al puro compito strumentale di articolazione linguistica. La voce è l’ultimo stadio della mia possessione che tanto somiglia a un’aurora, a uno stato crepuscolare, che è lo stesso, a un ipostasi preconscia. Lo so, tutto questo non risulta affatto credibile e gli stessi poeti in circolazione, se mi sentissero parlare di voce oracolare, riderebbero di me, come tutti hanno riso di me. La ferita è l’assenza di perdono. Leggo, leggo forsennatamente come se ci fosse un traguardo o un premio all’ultima pagina del libro.
…E se pensiamo che le voci degli oracoli della Grecia a cavallo tra l’età del crollo della mente bicamerale (schizofrenica, diremmo oggi) e l’età dell’avvento della mente cosciente soggettiva, del suo ” analogo io” col suo spazio mentale e il suo tracciato di narratizzazione erano ragazze ignoranti, analfabete, che accoglievano la voce degli dèi perché ci credevano. E se pensiamo che prima della venuta dell’Aspettato (Gesù) tutti gli uomini erano pazzi perché parlavano col loro spirito guida.
…Io quando scrivo soffro il disagio dell’atemporalità. Questo certi poeti non possono capirlo. Non può capirmi chi fa troppo commercio della vita, per dirla con una famosa poesia di Kavafis, non può capire come avviene l’avvento della mia parola poetica chi troppo vive proiettato all’esterno distolto da demoni sterili e svuotanti come l’attualità, la cronaca politica, e i loro media, la televisione, la radio. Il canto e la musica sono situati nel lobo temporale destro, nell’area che nell’emisfero sinistro, addetto alla parola, è detta, come sai, area di Wernicke. Scrivo e vivo il fenomeno dei primi bagliori della luce del mondo: ipostatizzo il sapere, vado sotto, è giù che stanno le voci, nelle caverne in cui parlano le sibille. Un mondo perduto che in certi poeti però sopravvive. Difficile stanarli. Campana era un uomo bicamerale, ad esempio.
La poesia, al tempo della mente bicamerale, ma anche oggi, era il contenuto delle phrenes di cui parla l’Iliade. Gli oracoli, le sibille, che essendo ragazze analfabete non sapevano un acca di metrica, si esprimevano in esametri e dattili. Jaynes dice che la vera poesia è solo matematica e la matematica, disse Galileo e con lui molti altri venuti dopo, come Leibniz, è il linguaggio di Dio. Ora è un dato di fatto che gli analfabeti siano gli artefici, come scrive Carlo Levi, delle “vigne matematiche del Sud”.
23-24 gennaio 2025

Pierre Tal Coat
(Intorno alla psiche, 2)
