GRAZIA

La grazia non è la bellezza: non consola, non rende attoniti, non arde vivi, ma ci smuove dentro. Così la descrisse Giacomo Leopardi: “L’effetto della grazia non è di sublimar l’anima e di riempirla o di renderla attonita come fa la bellezza, ma di scuoterla, come il solletico scuote il corpo, e non già fortemente come fa la scintilla elettrica”.

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Del cinema mi piace che, dopo lo spettacolo, sia impossibile andare a trovare gli attori mentre si stanno struccando, già consapevoli del ritorno alla vita quotidiana – la cena abituale, il sonno pesante, la scopata rituale. Del cinema mi piace uscire subito dopo la parola «fine», senza applaudire nessun essere vivo ma portandomi dietro il ricordo della storia vista come se fosse una storia reale, fatta di emozioni reali, iniettate nel mio spirito dai fantasmi dello schermo.

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Accadde, quel giorno: era un sabato, il 23 giugno 2001, e si poteva dire: «la luce è in lutto». Henri Alekan, nato a Parigi il 10 febbraio 1909, muore di leucemia nella sua casa-laboratorio di Boulogne. Fu folgorato, a 14 anni, dalla «messa in luce» del paesaggio di un set hollywoodiano. Da allora ha fotografato opere di Gance, Losey Allégret, Carné, Cocteau, Wenders, Gitay. Lo chiamavano lo «scultore della luce»: per lui non esisteva una «luce buona» ma solo una «luce giusta», quella che si intonava al tema del regista. Quasi novantenne scrisse, nel 1993, Des lumières et des ombres, dove racconta la sua vita e dove afferma che il ruolo della luce è commuovere lo spettatore attraverso l’emozione. «Pensare la luce è creare città e volti così come esistono solo in quel film, e per quel film».

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Mentre scrive e gli capita di morire, senza avere iniziato la frase…

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Scrisse Werner Herzog: «Le piante dei piedi mi bollono: è il nucleo incandescente al centro dellla terra. Isolamento profondo, oggi come non mai. Sviluppo un rapporto dialogico con me stesso. Dalla pioggia si può essere accecati».

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Non c’è nulla da ricordare, dell’agonia: da ricordare sono i segni dell’uomo vivo. Se non ne ha lasciati, significa che è morto molto tempo prima di consumare il suo respiro e quindi è assurdo piangerlo ora. (M.E.)

Henri Alekan

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