Frammenti da un poemetto (1996)
La terra e le sue prede
le isole meno libere
ogni differente pensiero
e tutte le agitate conoscenze del mondo
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Non si parla dell’insidia, ricordando
la forte cucitura del tempo
come sillaba mortale che ci confronta,
in lumine, al volto grave del cielo.
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Lì quel mondo lascia l’alveo,
entrando di schianto nella stessa cosa
che non siamo,
che non siamo più.
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Fosse stato un sonno, un sigillo da rompere,
il richiamo ti lascerebbe.
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(là dove non c’è salvazione)
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….Sciogli i rovi, i resti
delle scritture, anche se ardente
non ti sottrai all’inverno.
Con la preghiera ripetuta nell’evolversi di sale
dal fondo:
per sempre e tuttavia
pietra che non si cancella.
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Nemmeno saprai condividere le pietre
e le erbe, quello che veramente fu.
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quei nomi già lasciati
tornano, tornano come di fuoco
dal fuoco…
la ripetizione non è simmetrica?
Il tuo dire ha sapore d’attesa…
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castità di voce che liberi, illumini,
sprofondi nel nostro comune magma.
L’altezza sente ancora l’acqua,
da quel chiaro trascorre
per mai limpide stranezze…
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il farsi attesa, il farsi fortezza d’un pensiero
riscatta ogni giorno.
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Appena sotto il primo strato..
appena sotto, quel sangue abita
il campo dei nostri vivi…
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è stato aperto quel fondo.
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Se ogni ombra è portata via
con metodo
e con rassegnata intimità…
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allo staccarsi del colori dal fondo
vivo
della terra.
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In una prova è questa attesa
sotto cieli differenti,
perché infine esiti il tuo volto
a bruciarsi in un falso respiro.
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il soffio, come brezza, ha una grazia
simile al punto che ti ferma, fragile
ma votata alla compattezza.
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la sabbia e le onde dimenticano
come tutto ci comprenda –
e non esiste ricordo degno
di questo rapimento.
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…il desiderio
è un tradimento, troppa concordia
senza rinnnovarsi ricade negli occhi
e con dolore affonda nella nuca.
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…senza somigliare, con nessuno che ti nutra.
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Improvvisamente vegliare:
la sola possibilità che ci rimane
impauriti e segnati da brevi fessure.
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Giiovanni Castiglia, Senza titolo
