IL CAPPELLO DI SILIEN

Il testo è tratto da: Marco Ercolani, Lezioni di eresia, Graphos, Genova 1996.

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Il cappello di Silien

Lettera di Jean-.Pierre Melville a un critico parigino (1854)

Voi, caro signore, giudicate irreale e di cattivo gusto il finale del mio Spione. Ripetete, nella dodicesima e ventiquattresima riga del vostro articolo, che l’ultima scena è fallita: un banale esempio – come lo chiamate voi – di “melodramma manieristico”. Mi permetto di dissentire: è il vostro giudizio che, singolarmente, trovo ottuso e fuori luogo. E io – ingenuo! – ad aspettarmi che quel finale – un congedo cerimonioso e quasi orientale – fosse accolto con commozione o sorpresa!

Ma ricordiamo insieme la scena: Maurice scopre che Silien non lo ha tradito, ma ormai è tardi; il killer, a cui lui stesso ha commissionato la morte di Silien, lo ucciderà, là, in quella villa fuori Parigi. Come fermarlo? Maurice prende la macchina, corre all’impazzata. Piove a dirotto, il vetro gronda acqua, si appanna. Maurice guida lo stesso, arriva per primo alla villa. Entra di soppiatto, in silenzio. Nella penombra il killer lo scambia per Silien e lo uccide, Maurice cade sul pavimento della stanza. Pochi minuti dopo giunge Silien, vede Maurice morente, che gli accenna a qualcuno dietro la tenda. Silien se ne accorge e uccide il killer; ma quello, pur morendo riesce a sparargli alla schiena. Silien barcolla, si avvicina al telefono, avvisa Fabienne che non può venire all’appuntamento: poi si aggiusta il cappello davanti allo specchio e stramazza a terra. Il cappello cade lontano.

È in quel gesto che il film prende forma: un uomo, davanti allo specchio, si prepara per l’aldilà. Lo fa nel solo modo che conosce: aggiustandosi la tesa del cappello. Annulla l’ultimo incontro con la vita e prepara quello conclusivo con la morte, con la sprezzante noncuranza che caratterizza tutto il suo personaggio – svagato, equivoco, scontroso.

Il cappello di Silien è la mia verità. Non ha niente di teatrale o di manieristico. È una bizzarra forma d‘addio. Silien muore dopo aver visto l’amico morire, ucciiso da qualcunoo che non conosce (ricordate i western alla Hawks? quella fedeltà fra uomini, quella mitica fatalità!) Silien lascia la vita nella più totale ambiguità. La sfida è perduta. Guarda lo specchio, arrivederci e grazie. (Ricordate? In Bob il giocatore Bob risaliva Rue Pigalle, si fermava davanti a uno specchio arrugginito e diceva se stesso: “Che bel muso da mascalzone”!)

Voi dite che i registi devono avere misura, controllo, equilibrio. In realtà, vi sbagliate ancora una volta. I registi devono essere dei cavalieri e degli eroi, saper combattere e pensare. Essere disponibili a farsi traumatizzare dal mondo, osservare come spie. Avere buona salute e scegliere la soluzione più coraggiosa. Non ci sono mezze misure. I registi lavorano lo spettatore nel buio, lo stregano e lo sfiancano con i loro trucchi. Il mio primo film si chiamava Ventiquattrore della vita di un clown e rendeva omaggio a Beby il triste – un fantasma, un amico. I registi sono saltimbanchi, e gli attori pure. (Razza dannata, quelli! Hanno la fortuna di fare il mestiere migliore del mondo. Basta che lo sappiano, però, di non appartenere a se stessi ma all’occhio degli altri.)

Io sono come loro. Sono Silien e Maurice, Bob il giocatore e Léon il prete. Tutti i personaggi e tute le comparse. Bisogna sapere scegliere: “morire o mentire” diceva Celine. E io mento. Invento sceneggiature, medito delitti e furti. I miei eroi concepiscono rapine perfette così come gli artigiani medioevali studiavano la costruzione di una cattedrale gotica.

Beh, ora la smetto. Spero di essere stato chiaro. (Se può essere chiaro un uomo come me, uno che si chiamava Grumbach e ha scelto di farsi chiamare Melville per onorare l’autore di un tragico e misconosciuto romanzo, Pierre e le ambiguità). Torno ai miei tre gatti, a mia moglie e alle mie sceneggiature. Non amo nessun tipo di disordine quando non giro: il disordine, nella vita privata, annulla la possibilità di creare. Il solo vizio che mi sono sempre concesso è divorare film dalle nove di sera alle tre di notte.

Un ultimo appunto: Silien e Maurice muoiono l’uno per l’altro perché questa è una legge dell’amicizia. L’amicizia non impone di amare la vita ma un’etica di vita – qualcosa senza cui non sarebbe possibile neppure scrivere articoli, dirigere film o respirare.

Vi auguro, nel momento estremo, di affrontare la morte a capo scoperto. Non sareste in grado, come lo fu Silien, di aggiustavi il cappello con il necessario distacco.

Vostro Jean-Pierre Melville

(M.E.)

Le doulos (Lo spione), regia Jean-Pierre Melville, Con Jean-Paul BelmondoSerge ReggianiJean DesaillyFabienne DalíMichel Piccoli, Francia, 1962.

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Jean-Pierre Melville

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