DIAGNOSI

Il testo è tratto da: Marco Ercolani, A schermo nero, QuiEdit, Verona 2010.

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I miei genitori, dottore? Erano sordomuti. Camminavano, mangiava­no, dormivano, senza emettere suoni. Io, perfettamente sano, io che avrei potuto parlare, sentivo quel silenzio come inviolabile. Loro avrebbero sorriso, se io avessi parlato, ma non avrebbero capi­to. Mi era lecito usare la voce? No. Perciò me la proibii, senza eccezioni. Decisi di accettare gesti, sguardi, carezze: subii il loro codice. Per non offendere quella diversità mi feci diverso con loro. Ma ogni notte, come potevo non sognare temporali e tuoni? Quando uscivo di casa udivo con vergogna i rumori della strada, come se venissero da un mondo proibito. Provavo una rabbia cieca perché papà e mamma non avrebbero mai potuto udirli. In certe notti sognavo esseri strani che sbucavano dalla tappezzeria dei muri, dal legno della porta, dai vetri delle finestre, e scendevano a cucirmi la bocca e tapparmi le orecchie.

Imparai i movimenti del corpo e la mimica della faccia. Divenni padrone di un altro alfabeto, fatto solo di gesti. Ma sapevo di poter parlare e questa facoltà mi annichiliva. La voce era sempre lì, dentro la gola, come un tesoro che marciva. Io ero un falso diverso. Come potevo liberarmene? Dovevo cacciarla via urlando nel giardino, a notte alta, come un lupo. Prima di addormentar­mi, prendevo un cuscino, lo afferravo coi denti e urlavo, soffocavo la voce in quella cosa calda e bianca. Avrei potuto gridare liberamente: nessuno mi avrebbe sentito. Loro avreb­bero continuato a dormire sereni. Ma io come potevo farlo, senza sentirmi un assassino e uno stupido? Lì, nel cuscino bianco o nel giardino buio, resistevo al silenzio.

Divenni così abile nell’uso del corpo che mi scritturarono come mimo, in un vaudeville di provincia, poi come attore nel cinema muto. Interpretai subito figure di mostri. Sordi e muti, natural­mente. Il cinema non parlava. Ma io li rendevo espressivi, quasi-parlanti; mascheravo la loro voce impossibile nelle gobbe pesanti, nelle maschere-teschio, negli arti amputati, nelle mani a due pollici, nelle gambe morte che strisciavo come un serpente. Riuscii a fare del mio corpo la loro voce tortu­rata ma virtuale, repressa: mai che potesse erompe­re fuori.

Divenni celebre. Hollywood mi acclamava, aveva paura di me. L’immagine di Lon Chaney attore mostruoso coincideva con l’imma­gine di me stesso: io, agli occhi di tutti, ero un vero freak. «Attenti, un ragno! Potrebbe essere Lon Chaney!». In pochi conoscevano il mio volto, come pochi sapevano a quale atroce sofferenza mi piegavo per far parlare il mio corpo. Erano i miei arti cuciti, la mia faccia deforme, il mio torace compresso, l’urlo che dovevo far esplodere dallo schermo. Solo con i miei mostri mi salvai dalla follia del silenzio. I mostri non accettano il silenzio. lo combattono.

Ma ora le lotte sono finite. Le mie speranze si sono realizzate. Il cinema parla! Gli studi della MGM e della Warner Bros si affollano di microfoni. Il cinema muto scompare. Capisce, dottor Frost, è il 1 gennaio 1930 e lo schermo emette suoni! E io posso, senza tradire nessuno, essere una, due, tre, mille voci. Ho sofferto abbastanza, in tutti questi anni, un silenzio che, da mostro, piegavo a urlo. Adesso no. Basta. Potrò parlare, cantare, spiegare, narrare, sussurrare, gridare. Colmare il silenzio della mia casa, quando da bambino battevo le pentole con dei cucchiai di ferro e con gioia immensa generavo un frastuono incredibile, sperando di essere udito. Ma gli occhi materni mi guardavano con stupore, come davanti a un fatto inspiegabile. E io piangevo. Ma oggi, nella finzione del film, potrò essere vero…

Il cinema è sonoro, dottor Frost! Ho appena finito un film dove ho interpretato cinque voci diverse. E ho altri contratti. Per un ventriloquo, un attore, un cortigiano, un saltimbanco. Vedrete cosa vi farò udire. Vedrete quale sarà la mia voce…

Per questo mi rivolgo a lei, che è specialista: da qualche giorno non sto affatto bene. La gola è secca, deglutisco con difficoltà, e quando comincio a parlare un dolore acuto mi rende afono. Cosa significa? Una brutta bronchite? Ho preso molto freddo sul set del mio ultimo film. Troppe botole, troppi spifferi, il solito castellaccio gotico. Mi guarisca presto. Pagherò quanto vorrà. Ho bisogno della voce come voi uomini avete bisogno dell’aria.

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Ospedale di Los Angeles. Letto numero 7. Lon Chaney, attore. Quarantasei anni. Deceduto per carcinoma alle corde vocali alle 8,16 del mattino del 26 agosto 1930. I funerali giovedì pomeriggio nella chiesa di S. Nicholas.

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Lon Chaney

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