I testi sono tratti da: da Scisma (Les Flâneurs Edizioni, 2024), prefazione di Luigia Sorrentino, postfazione di Mattia Tarantino, fotografia di Dino Ignani, e scelti dall’autrice per “Scritture”.

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Giorno 0
La casa vuota dei nomi
la casa del deserto
per il suono dell’organo
nera luce intorno non hai più Dio
è il Dio dell’abbandono
il tuo nome di grafite
decomposto parla
con i morti
il cimitero della mente
epidemia
diecimila voci rapaci
il nemico armato
è l’occhio
il nemico interno
è l’altro
un plotone di sguardi
i blister
la finestra
le gambe raccolte
i palazzi al rovescio
scempio.
*
Giorno 1
Non immaginavo di aprire gli occhi
la voce disse: Ingoia la fame.
E poi la finestra, i vetri,
di schiena, rovescia i palazzi.
Mi sveglio nella foschia del dolore.
Quale parte di me è rimasta?
Siamo nell’aldilà?, chiedo.
No, siamo molto aldiquà, dice.
Cosa mi aspetta?
Nessuno sa se supererai la notte.
*
Giorno 2
L’uomo entra nel miraggio del coma. Smembrata muovo la testa. Paralisi. Titanio in L2. Ecco il padre. Perché?, dimmelo. Le vertebre, alfabeto sconquassato, il farsi nero di una luce adusta di crepe. Il farsi luce dell’oscurità. Nel fondo nerissimo cado centinaia di volte, le tende della finestra della mia stanza, traforate, tagliate dalla luce che smargina i mondi. Ero nella frattura, dove la notte si schianta. In fondo al buio vedo sempre la mia morte.
*
Giorno 3
Hai lasciato le gambe al custode
la vita assemblata nei ricordi
le rose sfiorivano e le ossa
salmodiavano in multipli
scisse smembrate in frantumi.
Ho memoria di noi prima
dello scisma
traudita la lingua delle Erinni
la tua camicia sbordata
la mia caduta il tuo pianto
fuggivi dalla donna rivoltata
altro è lo scerpo
transizione dell’ombra
non sentire più nulla
senza memoria agonizzanti
nel vuoto.
*
Giorno 4
La vigilia del nome è lo stigma
tralascia il tuo nome
assali il tuo nome.
La caduta del nome nel marmo
dissolvi il tuo nome
sbrindella il tuo nome.
Sei un covo di spago
hai croci nel midollo.
Rinuncia al tuo nome
distruggi il tuo nome.
Non esiste donna né uomo
persona è anelito nudo.
Rinnega il tuo nome
massacra il tuo nome.
Accontentati della crepa
nascondi il tuo nome
l’assalto alle ossa.
*
Giorno 23
Ero intubata, e la morfina liquefaceva le superfici. Dov’è la profondità? Volevo essere presa in custodia, tenuta a letto immobile. Non devi arrenderti, non puoi arrenderti, dicevano, Dio non vuole tu scenda ora, vuole tenerti nella lotta. Aprire la crudeltà. Qual è il senso? Imparare cosa? Accogliere quale difformità. Mi trasferirono qui per la riabilitazione, ma tutto sembrava immobile, coperto di gesso, lo stesso che avevo al braccio, alla caviglia. Chiedevo sempre di poter cambiare ospedale, come se cambiare ospedale significasse qualcosa. In stanza con me due ragazze in carrozzina, una muove le gambe, la mettono in piedi; l’altra non muove più nulla. La stanza cambia ogni volta che qualcuna va via. Diventa più grande o più piccola, ogni volta meno accesa. Assenza nell’incubo insonne. Ho camminato con il deambulatore. La gamba destra non riusciva a muoversi, non ho più muscoli, la lesione mi scava. La degenza è lunga; quando andrò via avrò nostalgia del reparto come di una cosa da non dire a nessuno.
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Giorno 32
Non si è mai abbastanza pronti per essere vivi. Troveremo rifugio nella realtà? Non usare parole ultime, usa le prime. Resterà il destino? Devi scendere e guardare, guarda in faccia il male. Non è altrove la colpa, non puoi rovesciare l’istinto. Non nominare nessuno. Qui abita l’ombra. Non nominare niente. Cancella i giorni. Esegui la sottrazione.
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Giorno 52
I letti vuoti delle compagne di stanza, la donna che grida, il puzzo di merda. Credi sia tutto? Il dolore è nudo, non conosce congetture, non sa dire. Ti sbrindella. Assedia. Tu guardavi all’altro capo del grido e ne vedevi sempre un altro. È la via del frantume, è un passaggio. Attraversa il silenzio, entra nel tuono. Cos’hai fatto al tuo corpo? Non pensare alle parole, non pensare alla pazzia, alla distillazione del fuggire. Pensa al tuo corpo, era vivo. Conosceva i nomi presi a sassi. Vuoi fermarti nel tumulto dei bruciati?
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Giorno 55
Non basta salvarsi, non pensare a salvarti. Il suolo ha ottanta confini. Era il guscio, il bordo. Non basta più. Scendi nella cella, non fidarti del doppio. La scissione è il venir meno del senso, non voler vedere. Fa più male, fa più male bendarsi. Non entrare e non uscire. Resta nello scisma, nella frattura. Accettalo, questo fallire, accadrà ancora. Non rimestare l’illusione. Muovi metà gamba, non hai muscoli, hai la mente, hai il sentire. Devi andare in fondo al buio e vedere.
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Nata nel 1987, Ilaria Palomba è laureata in Filosofia; ha tenuto laboratori di scrittura creativa nei centri diurni di psichiatria e presso alcune scuole. Tra le sue pubblicazioni: per Gaffi Fatti male, tradotto in tedesco per Aufbau-Verlag, e Disturbi di luminosità (da cui lo spettacolo teatrale Disturbi, con regia di Olivia Balzar); per Meridiano Zero Homo homini virus (Premio Carver, 2015) e Una volta l’estate. Ha inoltre pubblicato le sillogi Mancanza, Deserto, Città metafisiche (Ensemble) e il saggio: Io Sono un’opera d’arte. Viaggio nel mondo della performance art. Dal 2010 conduce una ricerca sul tema del disagio (psichico, sociale, generazionale) e ha aperto un blog dove ha svolto un’indagine sul dolore dell’anima mediante interviste a persone che anonimamente hanno raccontato la loro esperienza di disagio: dissipatu.blogspot.com. Ha scritto per “Minima et Moralia”, “Pangea”, “Nuovi Argomenti”. Ha fondato il blog letterario “Suite italiana”.
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Ilaria Palomba (fotografia di Dino Ignani)
