L’INTIMA LENTEZZA. Daniela Pericone

* I testi sono tratti da: Daniela Pericone, Corpo contro, con prefazione di Gianfranco Lauretano, Passigli Poesia, Firenze 2024.

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La severità della poesia di Daniela Pericone, in Corpo contro, è il segno di una saggezza esistenziale e linguistica: “Restare lì dove ogni cosa / a forza di scartare / e levigare diventa sottile / elementare – somiglia / appena a una fede / la tua migliore illusione”. Una illusione “elementare” deriva da una cosa che, a furia di levigarla, diventa “sottile”. Più che lo spazio di una speranza, questo linguaggio apre il varco per lottare contro gli incubi più oscuri. Allentare l’arco è una strategia di combattimento, come placare l’insonnia nelle pagine. Pericone si presenta al lettore con questa poesia grave, abituata al silenzio, inattuale, ardente, discreta. “Nel silenzio ascoltare è il solo talento”. Come scrive Gianfranco Lauretano nella prefazione: «La sua poesia sembra invece venire da un identico fuoco calmo, che vive sottotraccia nei secoli, facendo sì che i poeti si chiamino l’un l’altro, come invitati a un unico racconto intorno all’identico falò, da sempre. Chi li invita è la musica, che è insieme adesione all’unicità del proprio respiro e misteriosa sinfonia cosmica. Misteriosa, sì: qualcosa di cui si conosce l’esistenza, desiderandola, senza sapere ultimamente perché».

Il libro si divide in cinque sezioni: Una gioia inutile, A grandi falcate, A guardia della notte, Una forza impareggiabile, Il turbamento, e si conclude con una prosa, Nessun suono. La fermezza kafkiana della sua voce le detta versi precisi, gelidi, frementi: “Questo è il tempo che non mente / un calcolo esatto che non risolve / la sedia spaiata di chi se n’è andato / l’inutile allerta della sentinella; “; “Alzarsi, avvolgere con cura / la sciarpa, calcare il cappello / sollevare il bavero, e tuttavia / sentire alla nuca un brivido – / passano i venti, le polveri / astrali, gli anni luce”. Questa poesia cerca il brivido dell’ansia e la quiete della dimora: “qui è la tua casa – ovunque sia / custodisci le cose minute / come fossero di ferma durata / che nulla svanisca, per un istante”. Non sfugge al lettore questa atmosfera di “largo” musicale, di imminenza angosciata: “Sembri portare / una sacca leggera / eppure ti trascini a fatica / la testa fra le mani / è un temporale / che non arriva”.

Esistono poesie di evidente classicità: questi versi di Daniela ne sono testimoni temperati e allusivi. Mai la voce tende al grido, ma un grido è sempre sotteso. Dalla sezione Il turbamento, dove è palese l’identificazione con alcune tele di Caravaggio, ascoltiamo: “Il groviglio dei serpenti / d’improvviso placa – / s’inganna la furia di Medusa / riflessa nello scudo e cade / vittima di sé stessa. / Terribilità che s’impietra / nel suo stesso male”. E poco oltre: “È come segreta nell’ombra / se non che la luce orienta / le mani in movimento – / un transito, una ventata leggera / in un riflesso l’origine del fulgore”. Leggere questo libro è un’esperienza che trasfigura l’angoscia rasserenando la musica dei versi, cesellando ritmo e pause. Per Daniela Pericone esiste una tregua serena, un’intima lentezza che non consente il dissolversi delle cose e mantiene intatte, nei muri dei versi, con felice delicatezza, le passioni impetuose, le energie sensuali, le pieghe malinconiche. “Anche la luce si ritrae / eppure inonda il viso reclino / le palpebre semichiuse le braccia / arcuate le mani mollemente / adagiate l’una dentro l’altra. / tutto converge a una solitudine / non sia turbato il silenzio / la sua compiutezza”. Proprio di compiutezza occorre qui parlare, della “tregua nei fuochi della battaglia”, dello sguardo che resta limpido “in attesa del disastro”.

E allora, perché Corpo contro? Perché questo titolo? Forse perché il linguaggio è sempre sentinella degli intimi moti del corpo: li asseconda o li contrasta, e alla fine è il segno poetico il segno definitivo.

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Levarsi come

per una smania improvvisa –

le lunghe notti senza sonno

prendono forma vanno

a placarsi sui fogli.

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La corda allentata

dell’arco non è una rinuncia –

a mani nude la lotta

se nel fondo nerissimo

l’imprevedibile è in agguato.

*

Il turbamento

dinanzi alla maestà della pietra

si replica fra i precipizi delle pareti

negli anfratti senza via d’uscita.

La materia prende il sopravvento

le vicende umane sminuite

quasi trascurabile il male

*

L’attimo in cui

si compie ogni cosa

è accaduto accade ancora

fermo continuo definitivo.

*

Nessun suono rimarrà in questi luoghi. Un fragore si ostina a invadere le strade, le città, paesi interi. La sua lunga coda dentata fende l’aria in un vano rigurgito di potenza. Presto sarà silenzio. L’estinguersi di tutte le onde, degli attriti fra corpo e corpo, la frizione finale fra pieno e vuoto. Ci agitiamo in una sorta di fluido, denso o diradato, che vibra alla minima perturbazione e si spande in soffio voce clamore. Ma se anche tacesse ogni suono, fino all’ultimo istante rimarrebbe il rumorìo dei pensieri, familiare e ostile al contempo. La mente nel vivo della creazione – la sua opera inarrendevole – non porta che una parvenza di quiete, un’indole taciturna. Nel silenzio ascoltare è il solo talento.

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Daniela Pericone (Reggio Calabria, 1961) vive a Torino. Pubblica le raccolte di poesia: Passo di giaguaro (2000), Aria di ventura (2005), Il caso e la ragione (2010), L’inciampo (2015), Distratte le mani (20178), La dimora insonne (2020). Scrive testi di critica letteraria ed è redattrice di riviste e siti dedicati alla poesia.

Daniela Pericone

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