LE RISPOSTE E LE DOMANDE. Lorenzo Ferroni

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La scrittura in prosa, quando non ha scopi narrativi, ricava la sua efficacia dal proprio duende: dal quid che la determina – scelta lessicale, naturalezza del ritmo, efficacia dell’immagine – e che la rende “speciale”. È il caso di L’altro dentro di noi (Piccola Biblioteca Anterem, 2024), di Marco Ercolani, un libro che si presenta come un’intervista da cui sono omesse le domande, fitta di temi personali e autobiografici, realizzata musicalmente come una rapsodia che scorre leggera, abbandonata a se stessa, con frasi divaganti che vogliono aggirare concetti troppo esatti. Raccontare con chiarezza ma a partire da dettagli laterali, da posizioni scomode. “Non c’è bellezza che non procuri turbamento”, è il leitmotiv dell’autore. Tutto il libro, in sintesi, è una “idea” della prosa così come la concepisce Ercolani: idea-radice-ossessione che vuole cantare se stessa. La storia dei suoi libri e dei libri letti si dipana per frammenti, utilizzando la forma dell’intervista perché il tono sia fluente e non assertivo. I temi sono quelli che l’autore declina da sempre: apocrifo, arte/follia, microracconto, le arti colte nella molteplicità (non solo scrittura ma musica, cinema, pittura), ansia di libertà, nodi psichici, epigrammi filosofici. Ne viene fuori un ritratto dell’artista “da adulto” che indaga l’arte come ciò che non consola ma che deve esistere, afferrando il lettore alla gola come un nodo che la lettura non scioglierà. Il libro si compone di risposte a domande immaginate, ma è dominato da una sola domanda assillante, continua, irrisolta: senza fame e senza sete di verità sarebbe sopportabile la vita? E come si può esprimere questa fame e questa sete se non con le frasi della lingua umana – la musica che ci pervade come pietra sonora? L’altro dentro di noi è un libro dei vivi e dei morti intonato dalla voce di un vivo, appunto precario e sospeso lasciato galleggiare in un oceano familiare e minaccioso. Scrive Garcia Lorca: «Il duende… Dov’è il duende? Dall’arco vuoto entra un vento mentale che soffia con insistenza sulle teste dei morti, in cerca di nuovi paesaggi e di accenti ignorati».

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