Istvan Szabo (1938) è un regista ungherese molto attento ai temi della memoria. Mephisto, Il colonnello Redl, La notte dei maghi, Sunshine, sono tra i suoi ultimi film. Ma nella memoria dello spettatore resta soprattutto un film del 1973, Via dei pompieri 25. Gli anonimi ricordi di uno spettatore di Budapest, scritti nel 1979, ne sono testimonianza.

Via dei Pompieri 25 (Tüzolto utca 25)
Angyal, Liliòm, Pava, Mester, Vàgòhyd, Kövaja, angelo, giglio, pavone, maestro, mattatoio, tagliapietre, il quartiere di Ferencter, Tüzolto utca 25, Via dei pompieri 25, non vorrei rivedere quel film oggi, ma allora era così chiaro, i sogni si legavano tutti insieme, un acquario di persone e di voci, uno splendido colore blu notte, le voci raccontavano e raccontavano, non distinguevo il sogno dell’uno dal sogno dell’altro, era la notte di Ròszika, la sarta, sposata a un invalido con le gambe congelate dal freddo della steppa, o la notte di Ancsa, in attesa del grande amore? di Andris, a cui non piace baciare sulla bocca, o di Julika, che rimpiange il passato? della signora Gaskòj o del medico, del portinaio, del postino? di Schrenk o di Vilma Kis? La strada sarebbe andata distrutta, sapevo tutto di quella ineluttabile fine, Tüzolto utca 25, polverizzata, quell’immane mazza di pietra in cima alla gru che piomba sulle pareti e le sfracella, ma intanto vedevo tutti i sogni, in quella strada senza nomi di angeli o di pavoni, sentivo tutti i nomi di tutte le persone, Gisela, Vilma, Maria, Julika, Ander, non c’era altro che quella splendida incertezza, non sapevo chi era autore di un sogno e chi dell’altro, nessuno definiva le immagini come sue o tue o mie, nessuno le rivendicava, le pretendeva, il regista voleva che fluttuassero nella mente collettiva della casa addormentata, in un caos di colori e di forme, la donna che giace sul letto, la faccia nuda, spalancata, le palme delle mani aperte, quel senso di fiducia e di tenerezza, quel riposo da bestia ferita, non ricordo le singole immagini ma sentivo la macchina da presain alto e in basso, mentre usciva da una testa ed entrava nell’altra, e tutto nello spazio di una notte, erano i sogni di una notte di canicola in quel quartiere di Ferencter, ventiquattrore di sogni senza un padrone, indistinguibili, vivi non per le belle immagini o le belle metafore, ma per la meravigliosa contiguità di una parete nell’altra, guance, letti, teste, ringhiere, persone che dormono vicine in case vicine, tutta una materia in movimento che si rincorre, frastornata nei colori e nei suoni, io ho cominciato ad esistere a partire da quei sogni, non ho fatto altro, dentro di me, che obbedire a quel film, e sapevo, da allora, che sarebbe stato irripetibile, che non avrei più rivisto Tüzolto utca 25, che non dovevo rivederlo, era accaduto e ora io sono chi sono.
La mazza, immensa e cupa, il globo di pietra, che spacca e continua a spaccare, la strada che cessa di esistere. Ma le notti no, quelle restano, sono colorate, gialle, rosse, blu, piene di mari e isole e desideri di altre vite, e Gisela, Julika, Istvan, Schrenk, Ander, Ferenc continuano, per vedere, a chiudere gli occhi…
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