LA TRAPPOLA SPLENDIDA

Scrive Rainer Werner Fassbinder (1942-1978): «Sirk ha detto che il cinema è sangue, lacrime, violenza, odio, amore e morte e ha realizzato film di sangue e di lacrime, di violenza e di odio». L’amore del regista tedesco per i melodrammi potenti e originali di Douglas Sirk (nome d’arte del tedesco Hans Detlef Sierck) segna il suo destino di regista. Fassbinder è, nei suoi film sperimentali come in quelli più “popolari”, autore di melò potenti e funerei, dove “il vero è l’artificio”. Ma i suoi film hanno il potere di liberare la testa dello spettatore dai facili conformismi del sentire e del vedere. Ecco alcuni pensieri del regista sull’utopia del cinema, scritti nel 1981, un anno prima della morte.

Le lacrime amare di Petra von Kant

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Tutto è melodramma e non ci si può fare niente. Le lacrime amare di Petra von Kant: se questo non è un titolo da melò! Anche quando mi buco, è melodramma. Anche quando mi faccio fottere. Vorrei fare un film su Kleist: ammazzarsi in compagnia è sempre stato un bel sogno per me, una utopia potente. Ma c’è utopia e utopia. La mia estetica assume il pessimismo radicale come estrema speranza per l’uomo e i miei personaggi sono sempre sopraffatti dal desiderio. Si sbattono per andare oltre le cose. Anche fare un film significa sbattersi, essere forsennati come me. Quando giravo L’anno delle tredici lune sapevo di fare un’apologia del suicidio. Sgradevole, per molti benpensanti. Ma certo non posso amare chi invecchia e diventa un replicante di sé. Bisogna morire da vivi, non da morti. Ho amato Douglas Sirk perché da lui ho imparato molte cose sulla solitudine, perché le sue storie hanno luci innaturali e ombre impossibili, perché le sue inquadrature liberano la testa. Non fanno che ampliare e ingrandire la vita come strani fiori, come specchi giganti.

Io non voglio soccombere a facili scappatoie, non voglio adattarmi a irrilevanti rituali. Quando sarà il momento di lasciare questa terra, non ci sarà un nuovo film a consolarmi. Ma intanto tutti i film si agitano dentro di me con una brutalità inimmaginabile, anche quando stacco il telefono o ascolto l’Ottava di Mahler. Io non so che cosa sia vero e che cosa sia falso. Il solo vero che tollero è l’artificio della messinscena, quando tutto ha un significato, ed è il significato giusto. Il passato non esiste, nemmeno il presente, e quindi nemmeno il futuro. Quello che esiste lo decidiamo noi, quando fottiamo, quando mangiamo, quando siano in coma. La vita non smette di usarci come suoi specchi, e questa è la trappola splendida, il migliore degli inganni. Esercizio alla sbarra: verticale, salto mortale, chiusura riuscita. C’è altro? Forse solo la musica per clavicembalo in L’angelo sterminatore. Angoscia, prigione, merda, piscio, poi la biondina rifa il pezzo e tutti liberi, oplà.

Il testo è tratto da: Marco Ercolani, A schermo nero, QuiEdit, 2010.

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Louis Bunuel, L’angelo sterminatore

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