VISITATORI. Per Albino Crovetto

Giovanni Castiglia, Pergamena brunita

**

Una prosa come quella di Visitatori, di Albino Crovetto, ci guida a una sola domanda: fino a che punto si può sopportare l’angoscia di esistere? Le parole che leggeremo ci dimostrano come l’angoscia viene tollerata non perché sia umanamente tollerabile (nessuna angoscia lo è), ma perché le parole che la descrivono inventano un universo-specchio che, nella finzione della scrittura, produce un dolore capace di contagiare il lettore, di scavare nelle sue percezioni-emozioni finché proprio lui, il lettore, sarà costretto a sollevare lo sguardo dal foglio, finisca o no l’ustione del racconto. La scrittura è, come sempre, inguaribile violenza. “L’’aria trova una via di fuga”. Noi no.

VISITATORI

«Quando i visitatori entrano i vetri diventano opachi, il silenzio delle stanze non è più un vero silenzio, i vetri riflettono porzioni piccole di ogni cosa. Del letto, un lembo di coperta, del tavolo uno spigolo, tre gradini della scala interna che ne ha dodici, neri, di ardesia. Apro la porta perché devo. Non accolgo, non respingo. Formule vaghe di cortesia, stringo qualche mano, mi addosso al muro bianco. Sono tutti bianchi, i muri. Anche i soffitti. C’è un palo di legno che attraversa uno stanzino, un palo di un veliero. Quando entrano soffia il vento, le superfici di ogni oggetto s’increspano. Nessun allarme, nessuna paura. Io, per un eccesso di prudenza, ho messo il salvagente. I visitatori passano da una stanza all’altra, salgono e scendono le scale, aprono le porte. Vogliono informazioni sui movimenti delle maree, sulle luci, sul punto migliore per attraccare. Indico qualche angolo e un anello. Volendo si ormeggia il natante alla ringhiera. Sono abbastanza silenziosi, i visitatori. Mentre esplorano a volte mangiano. La domanda più frequente è: “da quanti anni?” “Da quanti anni cosa?” Poi voltano le spalle, spargono uno strano odore, e si mettono in colonna davanti alla porta d’ingresso. Stanno rigidi finché non apro la porta, la prima. Fra la prima porta e la seconda c’è una scala dove s’ingolfa il vento. Qui, a volte, i visitatori si divertono con i vuoti d’aria, piroettano, si lasciano sollevare, ridono come bambini. Apro la seconda porta, di metallo, e l’aria trova una via di fuga, infila le scale. I visitatori ringraziano e scendono ordinati. I vetri tornano trasparenti. I riflessi sono quelli di sempre e il silenzio è molto simile al solito silenzio, tranne una sottile fessura». (24-9-2023)

Lascia un commento