
Hercules Seghers, Paesaggio
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Si sveglia in un silenzio innaturale e osa guardare. Quella che era stata la spiaggia di un porto gremito di navi come Tiahuanaco adesso è una distesa sabbiosa troncata di netto, che oscilla sopra un cratere immenso. L’aria, rarefatta, non odora di salsedine. Cerca invano di distogliere lo sguardo dalla spiaggia sospesa sul baratro. Lascia la sua casa, si affaccia all’orlo della voragine e laggiù, luccicante e grigia, lontana, confusa da un velo di nebbia, vede qualcosa di simile all’acqua. Una superficie vastissima occupata da picchi curvi e neri che una volta erano tanti scogli. Sporge la mano, abituata al fresco dell’onda, e la ritira asciutta, sferzata da un vento tagliente. Un brivido di gelo gli trapassa il braccio. Attorno a lui, in una melma disseccata, giacciono prue sfasciate, timoni inservibili, vele strappate. Le navi sono scomparse. Un porto affollato di centinaia di imbarcazioni è ora un paese di montagna, con mulattiere umide, ricoperte da alghe, da pezzi di scafi; e in basso, al posto di una pianura che è sempre stata desertica e brulla, luccica, increspato, con striature bianche, il mare. E gli abitanti, che per secoli sono stati marinai, come possono, da un giorno all’altro, diventare contadini, montanari, coltivatori? Come possono trasformarsi? Cosa faranno, adesso? Resteranno a Tiahuanaco, reimparando a respirare, o scenderanno laggiù, cercando di ritrovare quello che ci è stato tolto?
Non prova nessuna disperazione, ora. Ma un rimpianto sì: non essere stato svegliato, la notte prima, dal rumore dell’acqua che precipitava; non avere vissuto, consapevolmente, l’attimo in cui tutto stava per cambiare.
(M.E.)
